3 novembre 2017

Ritmo d’autunno – Federico Garcia Lorca

Fiume d'autunno-Kandinsky
Ritmo d’autunno – Federico Garcia Lorca

A Manuel Angeles

Amarezza dorata del paesaggio.
Il cuore ascolta.

Nella tristezza umida
il vento disse:
Son fatto di stelle fuse,
sangue dell'infinito.
Con l'attrito scopro i colori
dei fondi addormentati.
Sono ferito di mistiche occhiate,
porto i sospiri
in bolle di sangue invisibili
verso il sereno trionfo
dell'amore immortale pieno di Notte.
Mi conoscono i bambini
e io resto triste.
Nelle favole di regine e di castelli
sono una coppa di luce. Turibolo
di canti fusi
che caddero avvolti in azzurre
trasparenze di ritmo.
Nella mia anima si sono perdute
carne e anima di Cristo
e ripeto la tristezza della sera
malinconico e freddo.
Sono la eterna armonia della terra.
Il bosco innumerevole.

Porto le caravelle dei sogni
verso l'ignoto.
E ho l'amarezza solitaria
di non saper la mia fine né il mio destino -.

Le parole del vento erano dolci
con profondità di gigli.
Il mio cuore si addormentò
nella tristezza del crepuscolo.

Sulla grigia terra della steppa
i vermi raccontarono i loro deliri:

Sopportiamo tristezze
sul bordo della strada.
Conosciamo i fiori dei boschi,
il canto monocorde dei grilli,
la lira senza corde che tocchiamo,
l'occulto sentiero che seguiamo.
Il nostro ideale non giunge alle stelle,
è sereno, semplice;
vorremmo fare del miele come api
o avere una dolce voce o il grido forte
o camminare leggeri sull'erba
o avere seni per nutrire i nostri figli.

Felice chi nasce farfalla
o porta luce lunare nei vestiti.
Felice chi recide la rosa
e raccoglie il grano!
Felice chi dubita della morte,
padrone del Paradiso,
e il vento che va dove vuole
sicuro dell'infinito!
Felici i gloriosi e i forti,
quelli che non sono mai stati compatiti,
quelli che benedisse sorridendo
il fratello Francesco.
Patiamo molte pene
sui nostri cammini.
Vorremmo sapere ciò che ci dicono
i pioppi del fiume -.
E nella muta tristezza della sera
gli rispose la polvere della strada:
Felici, o vermi, che avete
giusta coscienza di voi stessi,
e forme e passioni
e focolari accesi.
Io mi dissolvo al sole
seguendo il pellegrino,
e quando penso di restare nella luce
cado a terra addormentata -.

I vermi piansero e gli alberi,
movendo le loro teste pensierose,
dissero: - L'azzurro è impossibile.
Credevamo di toccarlo quando eravamo bambini,
e vorremmo essere come le aquile
adesso che la folgore ci ha colpito.
L'azzurro è delle aquile -.
E l'aquila da lontano:
No, non è mio!
Perché l'azzurro l'hanno le stelle
nei loro splendori -.
Le stelle: - Neppure noi l'abbiamo:
è nascosto fra di noi -.
E la nera distanza: - L'azzurro
l'ha la speranza nel suo recinto -.
E la speranza dice dolcemente
dal cupo regno:
M'avete inventato voi, cuori -.
E il cuore:
Dio mio! –

L'autunno ha lasciato senza foglie
i pioppi del fiume.

L'acqua ha addormentato d'argento vecchio
la polvere della strada.
I vermi si calano sonnolenti
nei loro freddi focolari.
L'aquila si perde tra la montagna;
il vento dice: - Sono eterno ritmo -.
sentono le ninne nanne sulle culle povere,
e il pianto del gregge nella stalla.
L'umida tristezza dell'orizzonte
mostra come un giglio
le rughe severe che lasciarono
gli occhi pensierosi dei secoli.

E mentre riposano le stelle
sull'azzurro addormentato,
il mio cuore vede il suo ideale lontano
e chiede:
Dio mio!
Ma Dio mio a chi?
Chi è Dio mio?
Perché la nostra speranza s'addormenta
e proviamo lo scacco lirico
e gli occhi si chiudono abbracciando
tutto l'azzurro? –

Sul vecchio paesaggio e il fumante focolare
voglio lanciare il mio grido,
singhiozzando di me come il verme
depreca il suo destino.
Chiedendo quello dell'uomo, Amore immenso
e azzurro come i pioppi del fiume.
Azzurro di cuori e di forza,
l'azzurro di me stesso
che mi metta in mano la grande chiave
che forzi l'infinito.
Senza terrore e senza paura davanti alla morte,
brinato d'amore e di lirismo,
benché mi ferisca il fulmine come l'albero
e mi lasci senza foglie e senza grido.

Adesso ho sulla fronte rose bianche
e la coppa colma di vino.

1920
 

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