da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen
Nonostante la loro scandalosa reputazione, gli “champagne” al cacao degli aztechi ebbero successo soprattutto tra le gentildonne europee trapiantate nel Nuovo Mondo, che amavano berne una coppa durante la messa. Quando un vescovo locale si rese conto di cosa bevessero le sue pecorelle, condannò la bevanda come “una dannata mistura da streghe”.
Egli cercò quindi di cacciare le donne dalla chiesa, ma ne venne fuori un parapiglia generale, in seguito al quale tutti decisero di seguire la messa nelle proprie case fino a quando il prete non fosse addivenuto a più miti consigli. Il che avvenne immediatamente, per così dire. Qualcuno, infatti, si prese la briga di avvelenarlo e, ironia della sorte, il veleno gli fu somministrato nella sua cioccolata calda. A quanto sostiene Thomas Gage, un viaggiatore del XVII secolo che si trovava nella regione degli altopiani del Chiapas, in Messico, quando scoppiò lo scandalo, la donna sospettata dell’avvelenamento si difese adducendo che il prete “era chiaramente un nemico della cioccolata nella chiesa”, per cui non c’era da sorprendersi che ne fosse rimasto vittima. Quella femme fatale pose quindi gli occhi su Gage, anch’egli sacerdote, e incominciò a spedirgli dei doni di cioccolata. Poiché Gage faceva orecchio da mercante a quelle lusinghe, gli inviò un messaggio più diretto: un enorme plátano (banana) sulla cui buccia aveva inciso “due cuori trafitti dalle frecce di Cupido”. Gage le restituì la banana con un messaggio inciso più in basso che diceva: “Fruta tan fría, amor no cría”, e cioè: “Frutta sì fredda, non induce amor”. La donna, offesa, minacciò di rifilargli una dose di “cioccolata Chiapas”, al che Gage pensò bene di svignarsela.
Nonostante la loro scandalosa reputazione, gli “champagne” al cacao degli aztechi ebbero successo soprattutto tra le gentildonne europee trapiantate nel Nuovo Mondo, che amavano berne una coppa durante la messa. Quando un vescovo locale si rese conto di cosa bevessero le sue pecorelle, condannò la bevanda come “una dannata mistura da streghe”.
Egli cercò quindi di cacciare le donne dalla chiesa, ma ne venne fuori un parapiglia generale, in seguito al quale tutti decisero di seguire la messa nelle proprie case fino a quando il prete non fosse addivenuto a più miti consigli. Il che avvenne immediatamente, per così dire. Qualcuno, infatti, si prese la briga di avvelenarlo e, ironia della sorte, il veleno gli fu somministrato nella sua cioccolata calda. A quanto sostiene Thomas Gage, un viaggiatore del XVII secolo che si trovava nella regione degli altopiani del Chiapas, in Messico, quando scoppiò lo scandalo, la donna sospettata dell’avvelenamento si difese adducendo che il prete “era chiaramente un nemico della cioccolata nella chiesa”, per cui non c’era da sorprendersi che ne fosse rimasto vittima. Quella femme fatale pose quindi gli occhi su Gage, anch’egli sacerdote, e incominciò a spedirgli dei doni di cioccolata. Poiché Gage faceva orecchio da mercante a quelle lusinghe, gli inviò un messaggio più diretto: un enorme plátano (banana) sulla cui buccia aveva inciso “due cuori trafitti dalle frecce di Cupido”. Gage le restituì la banana con un messaggio inciso più in basso che diceva: “Fruta tan fría, amor no cría”, e cioè: “Frutta sì fredda, non induce amor”. La donna, offesa, minacciò di rifilargli una dose di “cioccolata Chiapas”, al che Gage pensò bene di svignarsela.
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