8 dicembre 2018

Da “Piena estate”, XIV – Derek Walcott

Da “Piena estate”, XIV – Derek Walcott

Con la furia di un vecchio serpente che muta la pelle,
la strada chiazzata, segnata dai solchi, odorante di muffa,
si torceva su se stessa e rientrava nel bosco
dove le foglie del dasheen s’ispessiscono e cominciano le fiabe.
Il tramonto ci impauriva mentre salivamo alla sua casa
per la strada asfaltata in collina, dove i cirri dell’igname
si contendevano gli scoli col puzzo umido del musco,
le imposte si chiudevano come le palpebre di quella mimosa
chiamata Ti-Marie; poi – traslucida come lanterne di carta,
la luce che brillava tra le coste, casa dopo casa –
c’era la sua lampada alla svolta buia del sentiero.
C’è l’infanzia e ci sono le conseguenze dell’infanzia.
Lei iniziava a ricordare nell’ora delle lucciole,
al suono dell’acqua che dai tubi batteva nel latte,
le storie che raccontava a me e a mio fratello.
Le sue foglie erano biblioteche dei Caraibi.
Che fortuna abbiamo avuto, quelle origini fragranti!
La sua testa era maestosa, Sidone. Nella forra
della sua voce ombre si alzavano e si incamminavano,
la sua voce percorre i miei scaffali. Era la luce della lampada
negli occhi sbarrati di due bambini ipnotizzati
ancora uniti in un'unica ombra, granelli indivisibili.

da Derek Walcott, Nelle vene del mare, a cura di Matteo Campagnoli
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

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