A ciascuno il suo - Leonardo Sciascia
Andando dietro ai morti, che erano portati a spalla dai loro clienti più devoti e robusti, e pesavano come piombo per i tabuti di noce massiccia, incrostati di bronzo per di più, gli amici della farmacia discorrevano della lettera, frugavano nel passato del farmacista Manno, versando tutto il compianto che la circostanza imponeva sul povero dottor Roscio, che non c'entrava per niente e aveva pagato a peso di morte la leggerezza di accompagnarsi al farmacista, dopo la minacciosa lettera. Perché, con tutto il rispetto per il farmacista, a questo punto, di fronte all'atroce realizzazione del-la minaccia, bisognava ammettere che una qualche ragione ci doveva essere ad arma-re la mano all'assassino: magari assurda, magari fondata su una piccola, lontana, i-navvertita azione (malazione) della vittima. E poi la lettera parlava chiaro: per quello che hai fatto morirai; dunque una colpa, senz'altro lieve, senz'altro remota, il farma-cista doveva averla. Ma d'altra parte nessuno per niente fa niente: e non si arriva ad ammazzare un uomo (due in questo caso, con l'innocente dottor Roscio di mezzo) per una cosa da niente. A caldo, d'accordo, si può anche ammazzare per un sorpasso, per una parola: ma questo delitto era stato preparato a freddo, per vendicare un'offesa non facilmente dimenticabile, una di quelle offese che il tempo invece di cancellare incrudisce. I pazzi non mancano, d'accordo: che si fissano su una persona, che si fi-gurano questa persona intenta a perseguitarli segretamente, continuamente. Ma dav-vero questo si può dire il delitto di un pazzo? A parte il fatto che i pazzi dovevano es-sere due: e pensare due pazzi d'accordo è piuttosto difficile. Perché per essere due, gli assassini, erano due: nessuno si sarebbe arrischiato ad affrontare da solo due persone armate, che in quel momento avevano il fucile in mano, carico e pronto; e si sapeva, poi, che erano tiratori piuttosto veloci, piuttosto precisi. Di pazzesco c'era, sì, la lette-
ra: perché avvertire? E se il farmacista, con la coscienza della propria colpa (che ci doveva pur essere) o soltanto impressionato dalla minaccia, avesse rinunciato ad an-dare a caccia? Non sarebbe andato per aria il disegno degli assassini? «La lettera» disse il notaro Pecorilla «è tipica di un delitto passionale: quale che sia il rischio, il vendicatore vuole che la vittima cominci a morire e insieme a rivivere la propria colpa fin dal momento che riceve l'avvertimento.» «Ma il farmacista non cominciò per niente a morire» disse il professor Laurana. «Forse un po' turbato era la sera in cui ebbe la lettera: ma poi ci scherzava su, era tranquillo.» «E che ne sa lei di quello che un uomo può nascondere?» disse il notaro. «E perché nascondere? Ad avere, anzi, qualche sospetto sulla provenienza della minaccia, la cosa più sensata da fare...» «...sarebbe stata quella di comunicarlo agli amici e magari al maresciallo» com-pletò ironicamente il notaro. «E perché no?» «Ma mio caro amico!» disse il notaro con stupore e rimprovero, ma affettuosa-mente. «Immagini, mio caro amico, che il farmacista Manno, di felice memoria, in un momento di debolezza, di pazzia... Siamo uomini, no?» cercò intorno approvazio-ne, e non gli mancò. «Una farmacia e frequentata più da donne che da uomini, il far-macista è considerato quasi un medico... Insomma l'occasione fa l'uomo ladro... Una ragazza, una giovane... Stiamo attenti: non mi risulta che la buonanima avesse di queste debolezze. Ma chi può giurarlo?» «Nessuno» disse don Luigi Corvaia. «Ecco, vede?» continuò il notaro. «E potrei anche dire che, se mai, qualche e-lemento per formulare il sospetto che... Parliamoci chiaro: la buonanima fece un ma-trimonio d'interesse. Basta guardare la signora, poveretta, per non avere dubbio: buo-nissima donna, d'accordo, donna di grandi virtù; ma brutta, poveretta, fin dove dio poté arrivare...» «Lui veniva dalla povertà» disse don Luigi «e come tutti quelli che sono stati poveri era avido ed avaro, specialmente in gioventù... Poi, dopo il matrimonio, con la farmacia bene avviata, diventò diverso. In apparenza.» «Giusto: in apparenza. Perché sotto sotto era un uomo chiuso, duro... E, per tor-nare al centro del discorso, mettete mente a questo: qual era il suo comportamento quando si parlava di donne?» La domanda del notaro ebbe la pronta risposta di don Luigi: «Se ne stava muto:ascoltava e non parlava» «Questo, ammettiamolo sinceramente, noi che abbiamo il vizio di discorrere di donne, è l'atteggiamento di chi fa. A momenti, ricordate?, faceva un sorriso che pa-reva dire 'voi parlate, ma io faccio'. E poi bisogna considerare che era un bell'uomo.» «Quello che lei dice, caro notaro, non prova niente» disse il professore. «E an-che a darlo per vero, che il farmacista avesse sedotto una fanciulla o oltraggiato una sposa per usare un linguaggio da vecchio romanzo popolare... Anche se vero, resta da spiegare perché, ricevendo la lettera, non avrebbe potuto confidare al maresciallo i suoi sospetti riguardo all'identità dell'autore.»
«Perché a volte tra il perdere la pace in casa e il guadagnare la pace eterna uno sceglie la pace eterna, e non se ne parla più» intervenne il commendator Zerillo, con una faccia che diceva il rammarico di non essere stato capace, fino a quel momento di fare la stessa scelta. «Ma il maresciallo, con discrezione...» cominciò ad obiettare il professor Laura-na. «Non dica fesserie» tagliò il notaro. E poi «Mi scusi, le spiegherò più tardi» che si era già arrivati al punto in cui, davanti la chiesa del cimitero, si pronunciavano i di-scorsi in lode degli estinti: e appunto il notaro era stato designato a celebrare quelle del farmacista. Ma non ci fu bisogno, per il professore, della spiegazione del notaro. Effettiva-mente, aveva detto delle fesserie.
Andando dietro ai morti, che erano portati a spalla dai loro clienti più devoti e robusti, e pesavano come piombo per i tabuti di noce massiccia, incrostati di bronzo per di più, gli amici della farmacia discorrevano della lettera, frugavano nel passato del farmacista Manno, versando tutto il compianto che la circostanza imponeva sul povero dottor Roscio, che non c'entrava per niente e aveva pagato a peso di morte la leggerezza di accompagnarsi al farmacista, dopo la minacciosa lettera. Perché, con tutto il rispetto per il farmacista, a questo punto, di fronte all'atroce realizzazione del-la minaccia, bisognava ammettere che una qualche ragione ci doveva essere ad arma-re la mano all'assassino: magari assurda, magari fondata su una piccola, lontana, i-navvertita azione (malazione) della vittima. E poi la lettera parlava chiaro: per quello che hai fatto morirai; dunque una colpa, senz'altro lieve, senz'altro remota, il farma-cista doveva averla. Ma d'altra parte nessuno per niente fa niente: e non si arriva ad ammazzare un uomo (due in questo caso, con l'innocente dottor Roscio di mezzo) per una cosa da niente. A caldo, d'accordo, si può anche ammazzare per un sorpasso, per una parola: ma questo delitto era stato preparato a freddo, per vendicare un'offesa non facilmente dimenticabile, una di quelle offese che il tempo invece di cancellare incrudisce. I pazzi non mancano, d'accordo: che si fissano su una persona, che si fi-gurano questa persona intenta a perseguitarli segretamente, continuamente. Ma dav-vero questo si può dire il delitto di un pazzo? A parte il fatto che i pazzi dovevano es-sere due: e pensare due pazzi d'accordo è piuttosto difficile. Perché per essere due, gli assassini, erano due: nessuno si sarebbe arrischiato ad affrontare da solo due persone armate, che in quel momento avevano il fucile in mano, carico e pronto; e si sapeva, poi, che erano tiratori piuttosto veloci, piuttosto precisi. Di pazzesco c'era, sì, la lette-
ra: perché avvertire? E se il farmacista, con la coscienza della propria colpa (che ci doveva pur essere) o soltanto impressionato dalla minaccia, avesse rinunciato ad an-dare a caccia? Non sarebbe andato per aria il disegno degli assassini? «La lettera» disse il notaro Pecorilla «è tipica di un delitto passionale: quale che sia il rischio, il vendicatore vuole che la vittima cominci a morire e insieme a rivivere la propria colpa fin dal momento che riceve l'avvertimento.» «Ma il farmacista non cominciò per niente a morire» disse il professor Laurana. «Forse un po' turbato era la sera in cui ebbe la lettera: ma poi ci scherzava su, era tranquillo.» «E che ne sa lei di quello che un uomo può nascondere?» disse il notaro. «E perché nascondere? Ad avere, anzi, qualche sospetto sulla provenienza della minaccia, la cosa più sensata da fare...» «...sarebbe stata quella di comunicarlo agli amici e magari al maresciallo» com-pletò ironicamente il notaro. «E perché no?» «Ma mio caro amico!» disse il notaro con stupore e rimprovero, ma affettuosa-mente. «Immagini, mio caro amico, che il farmacista Manno, di felice memoria, in un momento di debolezza, di pazzia... Siamo uomini, no?» cercò intorno approvazio-ne, e non gli mancò. «Una farmacia e frequentata più da donne che da uomini, il far-macista è considerato quasi un medico... Insomma l'occasione fa l'uomo ladro... Una ragazza, una giovane... Stiamo attenti: non mi risulta che la buonanima avesse di queste debolezze. Ma chi può giurarlo?» «Nessuno» disse don Luigi Corvaia. «Ecco, vede?» continuò il notaro. «E potrei anche dire che, se mai, qualche e-lemento per formulare il sospetto che... Parliamoci chiaro: la buonanima fece un ma-trimonio d'interesse. Basta guardare la signora, poveretta, per non avere dubbio: buo-nissima donna, d'accordo, donna di grandi virtù; ma brutta, poveretta, fin dove dio poté arrivare...» «Lui veniva dalla povertà» disse don Luigi «e come tutti quelli che sono stati poveri era avido ed avaro, specialmente in gioventù... Poi, dopo il matrimonio, con la farmacia bene avviata, diventò diverso. In apparenza.» «Giusto: in apparenza. Perché sotto sotto era un uomo chiuso, duro... E, per tor-nare al centro del discorso, mettete mente a questo: qual era il suo comportamento quando si parlava di donne?» La domanda del notaro ebbe la pronta risposta di don Luigi: «Se ne stava muto:ascoltava e non parlava» «Questo, ammettiamolo sinceramente, noi che abbiamo il vizio di discorrere di donne, è l'atteggiamento di chi fa. A momenti, ricordate?, faceva un sorriso che pa-reva dire 'voi parlate, ma io faccio'. E poi bisogna considerare che era un bell'uomo.» «Quello che lei dice, caro notaro, non prova niente» disse il professore. «E an-che a darlo per vero, che il farmacista avesse sedotto una fanciulla o oltraggiato una sposa per usare un linguaggio da vecchio romanzo popolare... Anche se vero, resta da spiegare perché, ricevendo la lettera, non avrebbe potuto confidare al maresciallo i suoi sospetti riguardo all'identità dell'autore.»
«Perché a volte tra il perdere la pace in casa e il guadagnare la pace eterna uno sceglie la pace eterna, e non se ne parla più» intervenne il commendator Zerillo, con una faccia che diceva il rammarico di non essere stato capace, fino a quel momento di fare la stessa scelta. «Ma il maresciallo, con discrezione...» cominciò ad obiettare il professor Laura-na. «Non dica fesserie» tagliò il notaro. E poi «Mi scusi, le spiegherò più tardi» che si era già arrivati al punto in cui, davanti la chiesa del cimitero, si pronunciavano i di-scorsi in lode degli estinti: e appunto il notaro era stato designato a celebrare quelle del farmacista. Ma non ci fu bisogno, per il professore, della spiegazione del notaro. Effettiva-mente, aveva detto delle fesserie.
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