16 giugno 2019

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta

fotogramma di "L'oro di Napoli"
da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta

Fu appunto nel mese di marzo di non ricordo quale anno che il Vico Lungo di San’Agostino degli Scalzi soffrì e godette lo scandalo dell’anello di smeraldi; fu proprio tra l’acqua e il sole, tra il si e il no del più volubile cielo primaverile che donna Sofia Pugliese mancò inspiegabilmente l’anello di smeraldi con quel che segue.
Sa il diavolo dove fosse andato a finire l’astruso gioiello: c’era o non c’era nella “pizza”? Si tratta proprio di questo; ossia bisogna immediatamente occuparsi di Don Rosario Pugliese, come industriale e come uomo.
All’alba di ogni giovedì e di ogni sabato. don Rosario Pugliese compariva sulla soglia del suo “basso”. Aveva in braccio un grosso fornello da caldarroste,  che deponeva come un tronetto, con accorte armoniose flessioni del suo corpo rotondo, sempre nel medesimo punto dell’ineguale selciato. Frattanto, dall’interno della casa, le bianche braccia di sua moglie gli porgevano un tavolino ricoperto da una tovaglia un po’ meno candida e schietta. Una enorme teglia, i fiaschi dell’olio, la cesta della ricotta, i vasetti del sale e del pepe, un bisunto quadernetto e un lapis che don Rosario, dopo averne tentato la punta, si metteva sull’orecchio, completavano il singolare allestimento. Infine donna Sofia usciva a sua volta nel vicolo, e su un secondo tavolino collocava la pasta di pura farina, preparata durante la notte e già pronta per l’uso.
La signora Pugliese era una compatta femmina sui trent’anni, ricciuta e bionda; sulla vita succinta il busto pareva reggersi in bilico, mentre l’ampiezza dei fianchi convalidava l’impressione, rispetto all’esigua cintura, che le grazie di donna Sofia fossero attaccate a un filo. Era un prodigio di statica, la bellezza della signora Pugliese, che forse un virile ma ben collocato sospiro poteva interrompere, se non una improvvisa carezza, quando soverchianti umori lievitano nelle donne, quando sguardi e parole maschili le aggrediscono da un’atavica certezza.
Faccio per dire. Ora come ora don Rosario ha acceso il fuoco, e circonfuso di scintille canticchia, per provare la voce. Il Vico Lungo di Sant’Agostino si sveglia, vagamente eccitato dall’odore dell’olio fritto che si diffonde dalla teglia; fra un minuto del resto sarà troppo tardi, per chiunque abbia assistito a queste sollecitazioni olfattive, poiché don Rosario intonerà la stentorea esaltazione del suo ingegnoso commercio, che si impernia su una strana simbiosi di rosticceria e di banca.
Intuite che si tratta di “pizze a oggi a otto”?
Ecco il primo cliente, costituito dalla guardi notturna don Amedeo Cafiero. Suppongo che il sonno gli abbia spesso arriso, mentre se ne stava addossato alle saracinesche: freschissimo e sorridente, egli si immerge con delizia nel fumo di carboni e di frittura, riceve due fragranti “pizze” avvolte nella grossa carta spugnosa, e addentandone una si allontana.
Don Rosario inumidisce con la saliva la punta del lapis: “Guardia Cafiero pizze due” scrive laboriosamente nel suo quadernetto. Insomma queste “pizze”, gonfie di fondente ricotta e non prive di qualche truciolo di prosciutto, si pagano soltanto fra otto giorni. Rendetevi conto che ciò incoraggia, stimola e potenzia il consumatore. Molte cose possono accadere in otto giorni, non esclusa la morte, senza eredi, dello stesso rosticcere; per questa e per altre ragioni, non dissociabili dal cielo e dalle pietre di Napoli, succede che stomachi di infima capacità per gli alimenti pagati alla consegna risultino in grado di contenere un impressionante numero di “pizze” dilazionate, con evidente profitto del nostro don Rosario, che sogguarda sua moglie e giubilante esclama:
“Prego intensificare la produzione”.
Le lattee manine di donna Sofia spianano con piccoli colpi la cedevole pasta: ne derivano caldi suoni, ora attutiti come un bisbiglio, gutturali starei per dire, ora deliberati e pieni, sensuali,  che fanno vibrare come antenne i baffi degli artigiani in attesa di ricevere “pizze” e sui quali è meglio non riflettere fissando contemporaneamente la signora Pugliese. Nella teglia le focacce rabbrividiscono ed assumono, mentre il cucchiaio scientificamente le irrora di olio fumoso, il biondo colore delle ascelle di donna Sofia; gli uomini mangiano per quattro e guardano per cinquanta: don Rosario gongola e soffre, poiché la gelosia lo addenta dove è più adiposo, nei punti più molli e sensibili della sua anima pigra.

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