fotogramma di "L'oro di Napoli"
da L’oro di Napoli – Giuseppe
Marotta
Fu
appunto nel mese di marzo di non ricordo quale anno che il Vico Lungo di
San’Agostino degli Scalzi soffrì e godette lo scandalo dell’anello di smeraldi;
fu proprio tra l’acqua e il sole, tra il si e il no del più volubile cielo
primaverile che donna Sofia Pugliese mancò inspiegabilmente l’anello di
smeraldi con quel che segue.
Sa
il diavolo dove fosse andato a finire l’astruso gioiello: c’era o non c’era
nella “pizza”? Si tratta proprio di questo; ossia bisogna immediatamente
occuparsi di Don Rosario Pugliese, come industriale e come uomo.
All’alba
di ogni giovedì e di ogni sabato. don Rosario Pugliese compariva sulla soglia
del suo “basso”. Aveva in braccio un grosso fornello da caldarroste, che deponeva come un tronetto, con accorte
armoniose flessioni del suo corpo rotondo, sempre nel medesimo punto
dell’ineguale selciato. Frattanto, dall’interno della casa, le bianche braccia
di sua moglie gli porgevano un tavolino ricoperto da una tovaglia un po’ meno
candida e schietta. Una enorme teglia, i fiaschi dell’olio, la cesta della
ricotta, i vasetti del sale e del pepe, un bisunto quadernetto e un lapis che
don Rosario, dopo averne tentato la punta, si metteva sull’orecchio,
completavano il singolare allestimento. Infine donna Sofia usciva a sua volta
nel vicolo, e su un secondo tavolino collocava la pasta di pura farina,
preparata durante la notte e già pronta per l’uso.
La
signora Pugliese era una compatta femmina sui trent’anni, ricciuta e bionda;
sulla vita succinta il busto pareva reggersi in bilico, mentre l’ampiezza dei
fianchi convalidava l’impressione, rispetto all’esigua cintura, che le grazie
di donna Sofia fossero attaccate a un filo. Era un prodigio di statica, la
bellezza della signora Pugliese, che forse un virile ma ben collocato sospiro
poteva interrompere, se non una improvvisa carezza, quando soverchianti umori
lievitano nelle donne, quando sguardi e parole maschili le aggrediscono da
un’atavica certezza.
Faccio
per dire. Ora come ora don Rosario ha acceso il fuoco, e circonfuso di
scintille canticchia, per provare la voce. Il Vico Lungo di Sant’Agostino si
sveglia, vagamente eccitato dall’odore dell’olio fritto che si diffonde dalla
teglia; fra un minuto del resto sarà troppo tardi, per chiunque abbia assistito
a queste sollecitazioni olfattive, poiché don Rosario intonerà la stentorea
esaltazione del suo ingegnoso commercio, che si impernia su una strana simbiosi
di rosticceria e di banca.
Intuite
che si tratta di “pizze a oggi a otto”?
Ecco
il primo cliente, costituito dalla guardi notturna don Amedeo Cafiero. Suppongo
che il sonno gli abbia spesso arriso, mentre se ne stava addossato alle
saracinesche: freschissimo e sorridente, egli si immerge con delizia nel fumo
di carboni e di frittura, riceve due fragranti “pizze” avvolte nella grossa
carta spugnosa, e addentandone una si allontana.
Don
Rosario inumidisce con la saliva la punta del lapis: “Guardia Cafiero pizze
due” scrive laboriosamente nel suo quadernetto. Insomma queste “pizze”, gonfie
di fondente ricotta e non prive di qualche truciolo di prosciutto, si pagano
soltanto fra otto giorni. Rendetevi conto che ciò incoraggia, stimola e
potenzia il consumatore. Molte cose possono accadere in otto giorni, non
esclusa la morte, senza eredi, dello stesso rosticcere; per questa e per altre
ragioni, non dissociabili dal cielo e dalle pietre di Napoli, succede che
stomachi di infima capacità per gli alimenti pagati alla consegna risultino in
grado di contenere un impressionante numero di “pizze” dilazionate, con
evidente profitto del nostro don Rosario, che sogguarda sua moglie e giubilante
esclama:
“Prego
intensificare la produzione”.
Le
lattee manine di donna Sofia spianano con piccoli colpi la cedevole pasta: ne
derivano caldi suoni, ora attutiti come un bisbiglio, gutturali starei per
dire, ora deliberati e pieni, sensuali,
che fanno vibrare come antenne i baffi degli artigiani in attesa di
ricevere “pizze” e sui quali è meglio non riflettere fissando
contemporaneamente la signora Pugliese. Nella teglia le focacce rabbrividiscono
ed assumono, mentre il cucchiaio scientificamente le irrora di olio fumoso, il
biondo colore delle ascelle di donna Sofia; gli uomini mangiano per quattro e
guardano per cinquanta: don Rosario gongola e soffre, poiché la gelosia lo
addenta dove è più adiposo, nei punti più molli e sensibili della sua anima
pigra.
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