15 luglio 2019

da Marcovaldo – Italo Calvino

Lisandro Rota - La bancarella del pesce fresco
da Marcovaldo – Italo Calvino
Primavera
13 Dov'è più azzurro il fiume
Era un tempo in cui i più semplici cibi racchiudevano minacce insidie e frodi. Non c'era giorno in cui qualche giornale non parlasse di scoperte spaventose nella spesa del mercato: il formaggio era fatto di materia plastica, il burro con le candele steariche, nella frutta e verdura l'arsenico degli insetticidi era concentrato in percentuali più forti che non le vitamine, i polli per ingrassarli li imbottivano di certe pillole sintetiche che potevano trasformare in pollo chi ne mangiava un cosciotto. Il pesce fresco era stato pescato l'anno scorso in Islanda e gli truccavano gli occhi perché sembrasse di ieri. Da certe bottiglie di latte era saltato fuori un sorcio, non si sa se vivo o morto. Da quelle d'olio non colava il dorato succo dell'oliva, ma grasso di vecchi muli, opportunamente distillato.
Marcovaldo al lavoro o al caffè ascoltava raccontare queste cose e ogni volta sentiva come il calcio d'un mulo nello stomaco, o il correre d'un topo per l'esofago. A casa, quando sua moglie Domitilla tornava dalla spesa, la vista della sporta che una volta gli dava tanta gioia, con i sedani, le melanzane, la carta ruvida e porosa dei pacchetti del droghiere e del salumaio, ora gli ispirava timore come per l'infiltrarsi di presenze nemiche tra le mura di casa.
«Tutti i miei sforzi devono essere diretti, – si ripromise, – a provvedere la famiglia di cibi che non siano passati per le mani infide di speculatori». Al mattino andando al lavoro, incontrava alle volte uomini con la lenza e gli stivali di gomma, diretti al lungofiume. «È quella la via», si disse Marcovaldo. Ma il fiume lì in città, che raccoglieva spazzature scoli e fogne, gli ispirava una profonda ripugnanza. «Devo cercare un posto, – si disse, – dove l'acqua sia davvero acqua, i pesci davvero pesci. Lì getterò la mia lenza».

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