21 giugno 2015

La patria cresce - Senadin Musabegović

Foto di Gervasio Sánchez

La patria cresce - Senadin Musabegović

Mentre ci accompagnano per un lungo corridoio,
lasciano che
i peli dei nostri colli appena rasi
si appiccichino al ruvido colletto della camicia,
come sulla mano dell’ufficiale
sulla quale i calli gialli
sono stati
incisi.
Ci spingono nello spogliatoio, ci spogliano
e lasciano che
nella stanza dove gira solo il ventilatore:
le tracce dei calzettoni si arrossino lungo le vene pallide,
l’elastico della mutanda arricci la pelle accanto all’ombelico buio,
la bianca canottiera sulle spalle due linee rosse
imprima.
Ci mettono in fila e ci portano alle docce
lasciano che
l’acqua fredda
ci spazzi via tutta la vergogna
iniettata nella pelle elettrica
dalle dita dei padri.
Ci imbrigliano in uniformi,
ci gridano addosso
lasciano
che il calore della madre terra
sotto tutti i bottoni sul petto
il nostro respiro appiani.
Al posto di baci di donna
lasciano che il rossetto delle stelle rosse,
nelle quali si è aggrumato il sangue degli eroi,
sulla fronte sudata si spalmi.
La sera ci danno delle riviste
porno,
lasciano che
gemiamo insieme mentre impugniamo i nostri cazzi.
Qui non c’è intimità,
non ci sono muri di separazione nei cessi
lasciano
che
ci accucciamo
l’uno di fronte all’altro con
le sopracciglia aggrottate
mentre le vene azzurre
si sforzano.
Lavati i piedi ci infiliamo sotto le coperte
sogniamo che le lame dei rasoi passano sulle vene;
lasciano che
goccioli piano il sangue sulle lenzuola appena distese,
sporchiamo i pavimenti lisci,
la polvere si trasforma in grumi rossi lungo le fessure
del parquet,
bagniamo i secchi petti della terra natia con il nostro frutto.
- “Alzati!”
Confusi,
mentre con la punta delle dita infiliamo il bottone di plastica
nello stretto buco
sul colletto sudato,
ci lasciano
cercare in noi stessi il nemico interiore.

Traduzione Danilo Capasso

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