17 giugno 2015

Ovidio - Eroidi. Canace a Macareo

Omar Ortiz - Esplada
Ovidio - Eroidi. Canace a Macareo

La figlia di Eolo invia al figlio di Eolo quel bene ch'ella non ha e parole scritte con un'arma in pugno. Se tuttavia qualche parola sarà resa illeggibile da macchie scure, sarà perché il sangue della sua autrice avrà imbrattato il breve scritto. La mia destra tiene la penna, l'altra mano impugna una spada ed il foglio, spiegato, ricade sul mio grembo. Questo è il ritratto della figlia di Eolo, che scrive al fratello; così credo di poter piacere al padre inesorabile. Vorrei che lui stesso fosse presente come spettatore alla mia morte e che l'atto fosse compiuto sotto gli occhi del responsabile. Crudele com'è e molto più violento dei suoi Euri, starebbe a guardare le mie ferite a occhi asciutti. Certo conta qualcosa vivere con i venti selvaggi; egli è in sintonia con l'indole del suo popolo. Comanda a Noto e a Zefiro e ad Aquilone Sitonio e alle tue ali, Euro violento. Comanda ahimè ai venti; non comanda alla sua ira ribollente e possiede regni inferiori ai suoi vizi. Che serve a me, vicina al cielo per i nomi degli avi, poter annoverare Giove tra i parenti? È forse meno pericolosa l'arma, dono letale, che impugno con la mia mano di donna, arma che non mi è propria? Oh, Macareo, se quell'ora che ci ha uniti, fosse giunta dopo la mia morte! Perché mai, fratello, mi hai amata più di un fratello e perché sono stata per te quello che una sorella non deve? Anch'io m'infiammai e, mentre il cuore si scaldava, avvertii quel dio a me sconosciuto del quale sentivo parlare. Il colorito era scomparso dal mio viso, la magrezza mi aveva assottigliato le membra, la bocca assumeva a forza pochissimo cibo; non era facile dormire e la notte, per me, era lunga come un anno e gemevo, pur non essendo colpita da alcun dolore. Non potevo darmi una ragione del mio comportamento e ignoravo cosa fosse essere innamorata, ma lo ero. Per prima la nutrice, con l'esperienza dei vecchi, intuì il mio male; per prima mi disse: "Figlia di Eolo, tu sei innamorata!". Arrossii e la vergogna mi fece abbassare gli occhi in grembo; questi, pur nel mio silenzio, erano segni sufficienti di ammissione. Ormai il peso del mio ventre violato andava crescendo ed un fardello segreto appesantiva le mie deboli membra. Quali erbe, quali pozioni la mia nutrice non mi procurò e mi applicò con mano audace, perché il fardello che cresceva - questo solo ti ho tenuto nascosto - fosse estirpato dalle mie viscere! Ahimè, troppo vitale, il bambino resistette agli espedienti rivolti contro di lui e fu al sicuro dal nemico occulto. Ormai la bellissima sorella di Febo si era levata nove volte e la decima luna avviava i cavalli portatori di luce; ignara di quale causa mi scatenasse dolori improvvisi, ero inesperta del parto, come una giovane recluta. Non riuscii a trattenere un grido. "Perché riveli la tua colpa?", disse la vecchia complice, e mi tenne chiusa la bocca, mentre gridavo. Che fare, sventurata? Il dolore mi spinge a emettere gemiti, ma la paura, la nutrice e la vergogna stessa me lo impediscono. Soffoco i gemiti e trattengo le parole che mi sfuggono e sono costretta ad ingoiare le mie stesse lacrime. Avevo la morte dinanzi agli occhi e Lucina mi rifiutava il suo aiuto; se fossi morta, anche la morte era una terribile accusa; quand'ecco che tu, chino su di me, con la veste e i capelli strappati, ridesti calore al mio petto, stretto contro il tuo e mi dicesti "Vivi sorella, sorella carissima, vivi e con un sol corpo non farne morire due. Una felice speranza ti dia forza; infatti diventerai moglie di tuo fratello, sarai anche la sposa di colui che ti rese madre". Credimi, ero già morta, tuttavia alle tue parole ripresi vita ed il mio utero si sgravò del colpevole peso. Perché ti rallegri? Eolo siede al centro della reggia; bisogna sottrarre la colpa alla vista del padre. Sollecita, la vecchia nasconde il neonato fra spighe, argentei rami d'olivo e bende leggere, finge un sacrificio e recita formule di preghiera; il popolo e mio padre stesso, fanno strada al sacrificio. La soglia era ormai vicina. Un vagito raggiunge le orecchie di mio padre ed il bambino si tradisce, rivelando da solo la sua presenza. Eolo afferra il neonato e scopre l'inganno del sacrificio simulato. La reggia risuona della sua voce infuriata. Come il mare è tutto un tremolio, quando lo increspa una brezza leggera, come il frassino si agita al tepido soffio di Noto, così avresti visto tremare le mie membra esangui; il letto era scosso dal mio corpo disteso. Si precipita, propala a gran voce il mio disonore e a stento trattiene le mani dal mio misero volto. Quanto a me, non emisi altro che lacrime di vergogna. La mia lingua era paralizzata, bloccata da un terrore agghiacciante. E già aveva ordinato di gettare il nipotino in pasto ai cani e agli uccelli e di abbandonarlo in luoghi deserti. Quell'infelice emise un vagito - sembrava che avesse capito - e supplicava suo nonno con il suo linguaggio, come poteva. Quale pensi fosse il mio stato d'animo, o fratello (sei certo in grado di valutarlo tu stesso, in base ai tuoi sentimenti) quando il mio nemico, dinanzi a me ordinava di portare il frutto delle mie viscere nel profondo della foresta, in pasto ai lupi montani? Era uscito dalla mia stanza. Allora finalmente potei battermi il petto e strapparmi i capelli con le unghie. Nel frattempo giunse uno sgherro del padre, e afflitto in volto pronunciò queste parole crudeli: "Eolo ti invia questa spada - mi consegnò la spada - e ordina che tu arguisca, in base alla tua colpa, che cosa significhi". Lo so e farò uso con coraggio della spada funesta; mi affonderò in petto il dono paterno. Sono questi i doni, genitore, che mi offri per le mie nozze? Di questa dote, padre, tua figlia sarà ricca? Allontana, Imeneo tradito, le fiaccole nuziali e fuggi agitando il passo da questa casa esecrabile! Fosche Erinni, volgete verso di me le fiaccole che impugnate ed il mio rogo si illumini del vostro fuoco! Siate spose felici, sorelle, abbiate un destino migliore; ma conservate, tuttavia il mio ricordo, dopo morta! Che male ha commesso un bimbo venuto al mondo da così poche ore? Appena nato, che cosa ha fatto per offendere il nonno? Se ha potuto meritare la morte, si pensi pure che l'abbia meritata; ah, infelice, è punito lui per la mia colpa! Figlio, dolore di tua madre, preda di belve rapaci, sbranato, ahimè, nel giorno della tua nascita, figlio, pegno sventurato di un amore infausto, questo per te è stato il primo giorno, questo per te l'ultimo. Non mi fu concesso di versare su di te giuste lacrime, non di deporre sulla tua tomba i miei capelli recisi; non vegliai su di te, non colsi da te freddi baci; fiere voraci dilaniano le mie viscere. Anch'io, con la mia ferita, seguirò l'ombra del mio bambino e non sarò stata detta a lungo né madre, né priva di lui. Ma tu, inutilmente sperato dall'infelice sorella, raccogli, ti prego, i resti di tuo figlio, riportali a sua madre e ponili in una sepoltura comune ed un'unica urna, per quanto stretta, ci accolga entrambi! Vivi nel mio ricordo e versa lacrime sulle mie ferite, tu che mi ami, non temere il corpo di chi ti ama. Ti supplico, porta a compimento le volontà della sorella troppo amata! Io adempirò a mia volta la volontà del padre.

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