8 agosto 2017

Destinato ad uno solo, come camera - Arsenij Tarkowskij

opera di Andrew Wyeth

 Destinato ad uno solo, come camera - Arsenij Tarkowskij

Destinato ad uno solo, come camera
d’albergo – con una sola finestra, un solo
letto e un solo tavolo, vivevo
nel mondo e la mia anima
si era ambientata al corpo mio. Così avveniva:
guardava alla finestra, rimaneva a letto,
si sedeva sul tavolo . la penna faceva scricchiolare,
creando il suo semplice lavoro.

E dietro la finestra andavano i cittadini,
i camion strombazzavano la pioggia strepitava,
fischiava la polizia,
sorgeva il sole, arrivava il giorno,
sorgevano le stelle, arrivava la notte,
e il cielo ora schiariva ora imbruniva.

E la città ho amato come un forestiero,
ed ero pieno di impressioni felici,
e il nuovo amavo per la novità,
il quotidiano per la quotidianità,
e come questo mondo a quattro dimensioni,
non mi è rimast6o altro che il futuro.

Ma è terminata la mia solitudine
nella camera mia da quindici rubli
si è stabilito un altro pigionante solo,
e una nuova anima ha iniziato a riprodursi,
come cromosoma nel vetrino.
Afflitto nel mio spazio troppo stretto
pure mi facevo largo, come anche la città
sorgeva da borgate accatastate.

Io
un ponte ho gettato sul piccolo fiume.
A me
mancavano operai. Abbiamo impolverato
col cemento, rombato coi mattoni
la pelle collinosa della terra,
scorticato fino all’osso coi bulldozer.

Lode a colui che ha perso se stesso!
Lode a te, mia vita, privata di vita!
Lode a te, benedetto tensore,
lode a te, lingua d’altri tempi!
Passano cent’anni e non la comprendiamo più,
l’ho davanti nello Slovo d’Igor,
m’inchino a te, vinto dai tartari:
siamo mille sulla riva del Kajal,
la lancia è confitta sull’erba,
e sulla lancia
l’aquila della steppa monda le piume canute.

Traduzione di Amedeo Anelli e Stefania Sini

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