dipinto di Kenton Nelson
Avverbi di luogo - Juan Vicente PiquerasQua è dove sono io. Ovunque sia
io sarò sempre qua, dove mi vedi.
Questa casa, questi volti, questi oggetti
stancano perché il qua stanca.
Qua viene sete di andarsene, sete di laggiù.
Ma laggiù è il luogo dove non potrò mai stare,
dove io sono impossibile. Ovunque vada
il là dove sarò diverrà qua
e io ci sarò ad aspettare me stesso
con in mano un mazzo di rose tutte uguali.
Là è il tuo qua.
Là sembra un grido perché è dove fa male.
Io voglio essere là, dove tu stai,
e tu qua, o meglio: noi due laggiù, remoti, insieme,
ché vivo è uguale a insieme.
Laggiù c’è l’amore che non c’è qua.
Quegli oggetti toccati dalle tue mani,
quello che pensi, dici, taci o sogni,
quei luoghi dove stai senza di me,
quello desidero, quello mi occorre.
Ed essere il tuo là, il tuo alito sospeso.
Laggiù è la salvezza, il miraggio
nato dalla sete di stare qua.
Laggiù saremmo felici per sempre
stretta la foglia e larga la via,
laddove il tuo qua e il mio là si riunirebbero.
Laggiù è la pioggia cadendo
su questo deserto inaridito.
Laggiù è il Paese di Bengodi, Eldorado, il non-plus-ultra.
Io sono qua, tu là, e noi due laggiù, ma quando?
Questo è pietra. Codesto è seta. Quello è mare.
Qua è focolare impossibile, intima assenza,
odiato domicilio, carcere di ogni giorno.
Là, calore del tu, mia la tua vita,
tesoro della tua isola, aria d’amore.
Laggiù, dove non ci siamo, piove sulla vita
che non sarà mai nostra e che ci attende.
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