13 gennaio 2019

da “Il gatto che aggiustava i cuori” – RachelWells

da “Il gatto che aggiustava i cuori” – RachelWells

Ero davanti a una strada trafficata. – Le strade mi riempivano ancora di paura; ero diventato più bravo ad attraversarle, ma avevo ancora la sensazione di rischiare la pelliccia ogni volta che mettevo una zampa giù dal marciapiede. Avevo imparato a non avere fretta quando attraversavo, anche se mi toccava aspettare molto a lungo. E così, mi sedevo con la testa in movimento da una parte all’altra, finché nel traffico non c’era un’interruzione che rendeva abbastanza sicuro l’attraversamento. Ciononostante correvo velocissimo e finivo sull’altro lato con il respiro in gola. – Sfortunatamente quella volta, ero così impegnato a concentrarmi sull’attraversamento della strada che non mi sono accorto del cagnetto ciccione che stazionava sull’altro lato. Mi ha fronteggiato ringhiando, e mi ha mostrato i denti affilati colando saliva. Sfortunatamente non c’era né un guinzaglio né un padrone in vista.
«Sssss», ho replicato nel tentativo di scoraggiarlo, anche se ero terrorizzato. Mi era così vicino che sentivo il suo odore. Mi ha abbaiato e all’improvviso si è lanciato. Nonostante la stanchezza, sono arretrato con un salto e mi sono messo a correre, ma sentivo il suo fiato sulla coda. Avendo aumentato la velocità, mi sono azzardato a voltarmi e ho visto che m’inseguiva tentando di azzannarmi i garretti. Per essere così grasso era piuttosto veloce e, mentre correvo, lo sentivo abbaiare come una furia. Ho svoltato un angolo e sono arrivato in un vicolo. Ho sterzato e mi ci sono infilato di volata con la rapidità che mi consentivano le zampe. Dopo aver percorso quelli che mi sono sembrati chilometri, ho rallentato e, sentendo solo silenzio, mi sono voltato; grazie al cielo il cane non si vedeva da nessuna parte. Ero riuscito a sfuggirgli. Con il cuore che mi batteva, ho rallentato l’andatura e mi sono inoltrato nel vicolo che portava a certi appezzamenti dove la gente coltivava le verdure. Siccome la pioggia cadeva ancora a catinelle, in giro c’era solo un paio di persone, e così, malgrado fossi bagnato ed esausto, sono andato alla ricerca di un rifugio avanzando fiducioso a grandi passi. In uno degli appezzamenti c’era un capanno con la porta leggermente socchiusa. Ero troppo stanco per preoccuparmi di cosa potesse esserci lì dentro e ho aperto la porta spingendola delicatamente con il naso. Ero così infreddolito e insicuro da temere che, se non avessi trovato in fretta un posto asciutto in cui riposare mi sarei ammalato seriamente.
Sono sgattaiolato nel capanno, dove ho trovato sul fondo una coperta. Era ammuffita e un po’ ruvida. Niente a che vedere con il lusso a cui ero abituato, ma per me, in quel momento, è stato come trovarmi in una reggia. Mi sono raggomitolato e ho cercato di asciugarmi al meglio sfregandomi il pelo, e malgrado fossi mezzo morto di fame non me la sono sentita di uscire a cercare da mangiare.

Traduzione di Elisabetta Valdrè

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