16 gennaio 2019

Prometeo – Bukalas Pandelis

opera di Fernando de Szyszlo
Prometeo – Bukalas Pandelis

Non parlavo mai troppo
Il mio apprendistato fu per tempo nella lingua del fuoco
– e quale è più diretta
quale altra brilla bruciando tutte le catene
Non sopportavo tutto quel vuoto dentro di loro
Che costruissero omuncoli, quasi burattini,
che potessero giocare
fulminare, incenerire
e inondare
E ascoltassero incuranti le grida di dolore
non intendono il pianto

Finché si riunirono gli dèi e gli uomini
per stabilire i diritti
Dissi che avrei deriso Chi-non-si-deride
Uccido un bue, lo scuoio, lo faccio a pezzi
ne taglio in due la pelle:
sotto una nascondo la polpa
sotto l’altra ossa e grasso
la riempii per ingannarlo l’ingordo
Vieni pure, Zeus, dico – scegli
Ogni pelle stabilisce i diritti
per i mortali e per gli immortali
Che cosa avrebbe potuto scegliere l’onnisciente
Prende la parte più grossa
il nulla
e s’infuria quando la apre
Empietà, urla, mi hai preso in giro
Ora la pagherai, così impari, bastardo
Impartisce ordini da vendicatore:
Efesto prende acqua e terra
e plasma Pandora,
la prima donna,
forse la sorgente del male
L’amo
Imparo l’amore tra le sue braccia
Insegno l’amore agli uomini
Poi le arti, le lettere
e come si aggiogano i buoi all’aratro
i cavalli al carro
E resistono
Deridono dopo di me i sùperi
con lo stratagemma del sacrificio
Tutta devozione e obbedienza
con sacerdoti, musiche, processioni
sgozzano sull’altare pecore e buoi
conservano la polpa
agli dèi solo grasso e fumo
Evidentissima la beffa, ma secondo il rito

Chiarissima, calda la vita degli uomini
con il fuoco che rubo per donarlo a loro
Si infuria l’onnipotente
Ordina di nuovo – non fa nulla da solo
Vennero a prendermi i suoi schiavi
Kratos e Bia*
e mi inchiodarono alla rupe più impervia
Ogni giorno
si avventava l’avvoltoio
a saziarsi del mio fegato
Non del cuore o dei polmoni
sarebbe finito subito il mio tormento
E nel sangue cresceva il mio viscere
e integro lo ravvivavano le sue piaghe
perché avesse ancora dove configgere gli artigli
il divino astore

Non sapeva l’onnisciente
Non sapeva che l’incessante consumarsi
era la mia arma e il mio metodo
Nel dolore mi feci uomo
Nel dolore imparai
ciò che non avrebbero mai imparato
gli onniscienti
Adesso conto i miei figli
e sono innumerevoli
Come il mio fegato,
Vivono della loro morte.

* Nel Prometeo incatenato di Eschilo sono i servi di Zeus che incatenano Prometeo alla rupe del Caucaso. Si tratta delle personificazioni del Potere e della Violena.

Traduzione di Massimo Cazzulo
Da “Poesia” n. 298, novembre 2014. Crocetti Editore

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