2 gennaio 2018

da Benito Cereno - Herman Melville

da Benito Cereno - Herman Melville
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Da più vicino l'aspetto mutò e fu evidente la vera natura della nave: un mercantile spagnolo di prima classe che fra le varie merci di valore trasportava schiavi negri da un porto coloniale a un altro. Un vascello molto grande e ai suoi tempi molto bello come allora se ne incontravano a volte sulle rotte principali: navi di Acapulco un tempo adibite al trasporto del tesoro ma ormai in disuso oppure fregate in disarmo della regia flotta spagnola che simili ad antichi palazzi italiani conservavano pur nel declino dei padroni tracce dell'antico splendore.
A mano a mano che la baleniera si avvicinava si vide che le cause dell'aspetto calcinato della nave sconosciuta erano la trascuratezza e l'abbandono che la permeavano. I pennoni le funi gran parte delle murate parevano irsute per la scarsa frequentazione della raschietta del catrame della spazzola. Sembrava che la chiglia fosse stata costruita i costoni saldati e la nave varata nella Valle delle Ossa Aride di Ezechiele. Adibita al servizio attuale non pareva che la nave e l'attrezzatura avessero subito mutamenti sostanziali dal modello guerriero originale di Froissart. Non si vedevano però cannoni. Le grandi coffe cinte da un reticolato ottagonale - almeno lo era stato un tempo ma ormai in triste degrado – si libravano in altosimili a tre uccelliere in sfacelo; in una di queste si vedeva appollaiata su una grisella una rondine marina bianca uno strano e stolido uccello dal carattere letargico e sonnambulico che in mare si riesce spesso a prendere con le mani. Cadente e ammuffito il castello di prora parev aun'antica torre che fosse stata presa d'assalto tanto tempo prima e poi lasciata andare in rovina. Verso poppa su due alte balconate con le balaustre qui e lì ricoperte di muschio marino secco e riarsosi apriva la cabina grande deserta con i portelli pur in quel clima mite ermeticamente chiusi e calafatati - e questi balconi vuoti si affacciavano sull'acqua quasi si trattasse del Canal Grande di Venezia. Ma la reliquia principale della passata grandezza era l'ampio ovale simile a uno scudo della decorazione di poppa con un intricato intaglio raffigurante il vessillo di Castiglia e León incorniciato da emblemi mitologici o simbolici come nei medaglioni e fra questi spiccava in mezzo un satiro scuro mascherato con il piede sul collo prono di una figura contorta anch'essa mascherata.
Se la nave avesse una polena o soltanto un semplice rostro non era certo a causa di un telone avvolto intorno a quella parte forse per proteggerla mentre veniva riparata o forse per nasconderne pudicamente il degrado. Scritto in modo rozzo con la vernice o il gesso quasi un ghiribizzo di marinaio sulla parte anteriore di una specie di piedistallo sotto il telone c'era il motto Seguidvuestro jefe (Seguiteil vostro capo); mentre sulle testate di prua non lontano appariva il nome della nave San Domenico tracciato in solenni maiuscole un tempo dorate con le lettere scanalate dalle stille di ruggine gocciolanti dai chiodi di rame; a ogni funereo rollio dello scafo festoni scuri di alghe simili a gramaglie oscillavano viscidi sul nome.
Alla fine quando la baleniera agganciata a prua fu portata verso il barcarizzo a mezza nave la chiglia seppur separata dallo scafo di qualche pollice sfregò ruvidamente come su una scogliera corallina sommersa. Si rivelò essere un enorme grappolo di crostacei cirripedi che sott'acqua aderivano al fianco come un porro - segno di venti variabili e lunghe bonacce trascorse chissà dove in quei mari.
Il visitatore salendo lungo il fianco fu subito circondato da una calca rumorosa di bianchi e negri – questi ultimi in numero molto superiore ai primi - più di quanto ci si sarebbe aspettato - pur tenendo conto che la nave sconosciuta era adibita al trasporto di schiavi. Ma in una sola lingua e quasi a una sola voce tutti si profusero in racconti di comuni sofferenzee le negre piuttosto numerose superarono gli altri con la loro dolorosa veemenza. Lo scorbuto e la febbre avevano spazzato via un gran numero di loro soprattutto di spagnoli. Al largo di Capo Horn avevano per poco evitato il naufragio quindi per giorni e giorni erano rimasti immobili come in catalessi senza vento; scarseggiavano le provviste l'acqua era quasi esaurita le labbra ormai riarse.
Mentre diventava così il bersaglio di tutte quelle lingue bramose di raccontare capitan Delanocon sguardo altrettanto bramoso di sapere colse tutti i volti e ogni altro oggettointorno a sé.
Quando in mare aperto si sale per la prima volta a bordo di una nave grande egremita di gente soprattutto se straniera con un equipaggio disparato come possono essere gli uomini di Lascar o di Manila accade sempre che l'impressione differisca in modo singolare da quella provata entrando per laprima volta in una casa sconosciuta con
abitanti sconosciuti in una terra sconosciuta. La casa e la nave - l'una coni suoi muri e le persianel'altra con le sue murate alte come bastioni - nascondono alla vista fino all'ultimo momento l'interno quasi fosse un tesoro; ma nel caso della nave c'è questo in più: dischiudendo con brutale schiettezza quanto vi è racchiuso offre uno spettacolo che contrapposto all'oceano vuoto circostante ha l'effetto di un incantesimo. La nave sembra irreale: quegli strani costumi quei volti quei gesti paiono un quadro illusorio emerso dagli abissi che reclameranno subito quanto hanno dato.
Forse una suggestione simile a quella che si è cercato di descrivere diede forza nella mente di capitan Delano a elementi che sarebbero sembrati soltanto inconsueti a un esame pacato; specialmente le figure maestose di quattro vecchi negri brizzolati con le teste simili alle chiome di salici neri cimati per la decrepitezza i quali in venerabile contrasto con il sottostante tumultose ne stavano accucciati come sfingiuno sulla gru di dritta uno su quella di sinistra gli altri seduti di fronte sulle opposte murate sopra i parasartie di maestra. In mano avevano pezzi di vecchio cavo sfatto e con una sorta di stoico autocompiacimento ne facevano stoppa di cui già avevano vicino un mucchietto. Accompagnavano il lavoro con una nenia continua bassa monotona un ronzio biascicato come tanti zampognari canuti intenti a suonare una marcia funebre.
Il cassero si alzava in un'ampia poppa elevata dove sul margine anteriore seduti come i quattro stoppai a circa otto piedi al di sopra della calca comune c'erano in fila a intervalli regolari e a gambe incrociate altri sei negri.
Avevano tutti in mano un'accetta arrugginita econ un pezzo di mattone e uno straccio si adoperavano come sguatteri a strofinarla mentre ogni due di loro c'era una pila di accette con il filo rugginoso in avanti in attesa di essere sottoposte ad analogo trattamento. Sebbene di tanto in tanto i quattro stoppai si rivolgessero con brevi parole a questo o a quello della calca sottostante i sei lustratori di accette non parlavano mai con nessuno e non fiatavano fra loro neppure in un sussurro; si limitavano a starsene seduti intenti al lavoro salvo a intervalli con quel caratteristico amore dei negri di unire l'utile al dilettevole battere di piatto a due a due le accette come cimbali con fragore barbarico. Tutti e sei a differenza della maggior parte degli altri avevano l'aspetto selvatico di autentici africani.
Ma quella prima occhiata globale che abbracciò le dieci figure e innumerevoli altre meno imponenti indugiò su di loro soltanto per un istante mentre il visitatore insofferente del vocio assordante si girava intorno alla ricerca del comandante chiunque fosse. Ma quasi non gli dispiacesse lasciare che la natura parlasse da sola tra gli uomini sofferenti a lui affidati o forse disperando di poterli contenere per il momento il capitano spagnolo un gentiluomo dall'aria riservata piuttosto giovane agli occhi di chi non lo conosceva vestito in modo singolarmente sontuoso ma con i segni recenti di affanni e travagli nemici del sonno se ne stava passivo in disparte appoggiato all'albero maestro ora lanciando uno sguardo spento e tetro sulla sua gente irrequieta ora un'occhiata infelice al visitatore. Accanto a lui c'era un negro di bassa statura; sulla sua faccia rude che come un cane da pastoredi tanto intanto alzava in silenzio verso quella dello spagnolo si mescolavano in ugual misura rammarico e affetto.
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