Essendo un animale
notturno, in genere vado a letto dopo lo spuntare dell’alba. E di regola non mi
sveglio mai prima dell’una. Perciò quel giorno fu un caso eccezionale.
Intendo il giorno in
cui mi arrivò il primo pacco da Ryùichirò.
Sì, quella mattina
all’improvviso il mio fratellino entrò nella mia stanza sbattendo la porta e si
mise a scuotermi con tutte le sue forze.
“Svegliati, Sakumi,
svegliati! E’ arrivato un pacco!”
Sollevandomi a
fatica, mormorai:
“Cosa?”.
“C’è un pacco
grandissimo per te!” Yoshio era talmente eccitato che se avessi fatto finta di
niente continuando a dormire, si sarebbe messo a saltare sul letto. Non avendo
scelta, mi rassegnai a svegliarmi del tutto e a scendere al piano di sotto.
Feci le scale con lui appiccicato addosso.
In cucina c’era mia
madre seduta al tavolo che mangiava del pane.
Annusai nell’aria un
delizioso profumo di caffè.
“Buongiorno,” dissi.
“Buongiorno,” rispose
mia madre guardandomi stupita. “Come mai già in piedi? Non è un po’ presto per te?”
“E’ questa peste che
mi ha buttato giù dal letto. Non dovrebbe essere all’asilo?”
“Ho un po’ di
febbre,” disse mio fratello, sedendosi di botto su una sedia e afferrando un
pezzo di pane.
“Ah, ecco perché
tutta questa animazione,” dissi.
“Anche tu eri così da
piccola. Quando sembravi elettrizzata senza ragione, scoprivo sempre che avevi la
febbre,” commentò mia madre.
“E gli altri?”
“Dormono ancora.”
“Ah, già, sono solo
le nove e mezza,” sospirai.
Ero andata a dormire
alle cinque. Ed ero ancora frastornata da quel brusco risveglio.
“Vuoi anche tu il
caffè, Sakumi?”
“Ma sì, lo prendo.”
Mi sedetti. Dalla
finestra che mi stava di fronte entravano i raggi diretti del sole del mattino,
e la loro luce, a cui da tempo avevo perso l’abitudine, sembrava penetrare in ogni
mia fibra. La figura di mia madre di spalle, nitida e minuta, che sfaccendava
in cucina, mi faceva pensare a una ragazzina che gioca a fare la giovane sposa.
La mamma in effetti è
ancora giovane, aveva diciannove anni quando sono nata. Vuol dire che all’età
che ho io adesso lei aveva già due figli. Una cosa per me inimmaginabile.
“Eccoti il caffè.
Vuoi un po’ di pane?”
Anche le mani che mi
porgevano la tazza erano belle. Non sembravano assolutamente mani che avevano
fatto lavori di casa per più di vent’anni. Mi piaceva molto una mamma come lei,
ma allo stesso tempo mi faceva un po’ rabbia. Mi sembrava sleale nei confronti
del mondo che sapesse schivare così bene il passare del tempo.
La mamma ai suoi
tempi doveva essere una di quelle ragazze - in ogni classe ce n’è
immancabilmente una - non bellissime ma dal fascino e dalla sensualità
particolari, che fanno strage tra gli uomini più maturi.
Traduzione di Giorgio
Amitrano
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