Gustave Courbet - Uomo disperato (autoritratto), 1844/1845, olio su tela 45x55 cm, collezione privata
Sogno - Enzo Montano
Attendere il sogno una vita intera
inseguirlo fino al sangue delle unghie,
impervi i muri
appuntiti i cocci di vetro
aguzze le punte delle stelle
e nere le tormente.
Scovare il sogno fuggente
nei recessi del pensiero,
leggerne i segni:
accenni impercettibili
inesistenti quasi,
pennellate in aria accennate del destino.
Attenderlo
raccoglierlo
e contemplarlo
nelle ore della calura senza ombre,
poi inseguirne l’esistenza dubbia
decifrando i grani identici dei giorni
e delle notti,
coltivarlo
accarezzarlo
scrutarlo da lontano,
nel silenzio immobile
denso sempre del sogno ricorrente.
Un sogno sopra un altro identico,
la sensazione di sfiorarlo con il dito
o di assaporarlo col pensiero
è solo un inganno:
mai si spalanca l’estasi di averlo.
Una sola virgola di inatteso tempo,
un’illusione
un miraggio
una chimera
un gioco di luci e ombre sovrapposte,
un delirio vissuto fino all'infinito
e poi perderlo per sempre
nell’eterna notte senza luna
carpito da un ladro incredulo
posto dal beffardo caso
sotto le lancette del mio cielo
nello stesso attimo,
proprio quello.
Un capriccio del tempo,
dello spazio e degli dei impietosi
proprio lì quando il sogno a me sfugge
e un'altra mano lo raccoglie.
E allora costruisci impalcature
intorno al vero
o ponti strade e funivie
ma vano è il tentativo della fuga.
Chi misura i sentimenti?
Chi la loro potenza?
Chi designa gli sconfitti?
Chi incorona quello che trionfa?
Uno è il sogno
uno quello che perde
e quello che vince
è sempre un altro.
Tutto misura la distanza
o le fortunate coincidenze
io sono lontano
e mai la fortuna è stata mia compagna,
sono io il pensiero effimero
sono io quello che si dimentica
e sono anche chi perde la mano
la partita e il sogno.
E se l’amore è puro solo tra individui soli,
lo è anche quello con data di scadenza?
Il muro di metallo invalicabile esiste
o noi lo costruiamo con perizia?
Un’altra mano
e sono io quello che ancora perde,
non ho assi nella manica
né considerazione degli astri
ho solo nervi
battiti del cuore urlanti
e sangue nelle mani
ma con quelli non si vince.
Uno è il teschio
che cento volte sbatte contro l'acciaio,
una e cento volte
ad ogni rintocco di campana,
la lama taglia il cranio
e restituisce il volo ai sogni
che lì non hanno paese o residenza.
Cadono cocci di ossa
e di vetri rotti
schizzi di cervello imbrattano i muri;
ti accorgi del ritardo
quando è già svanito l’ultimo alito,
dissolto nella durezza del metallo,
o nella dimensione vana del sogno.
Inutile aggrapparsi
Alle aguzze punta delle stelle,
il sogno è quello andato in frantumi
ma anche quello è stato rubato
e ricomposto in un altrove
in un mosaico di tessere incerte.
E non c’è più una strada
dove farlo viaggiare
oltre l’ipocrisia di un paravento misericordioso.
Rimane lì il sogno
posato nell’angolo più buio del ripostiglio,
e lo vedi e lo rivedi ancora mille volte
costretto dal solenne desiderio.
Il sogno dolce ha un volto
ma è lo stesso dell’incubo atroce,
le labbra che in sogno sorridono
sono quelle del boia che decapita,
la mano che cosparge di olio dolce le ferite
è la stessa che prima e dopo
infligge impietose coltellate.
Nella corona non più tua,
tra i panni stesi ai fili
assieme alla passione
amore, menzogne ed egoismo
tu non puoi più abitare.
Lo sguardo rivolto all'orizzonte conosciuto
in equilibrio sul burrone
cerchi il ritorno al nulla
dalla strada che divide
poi ancora il consueto nulla
oltre la soglia dell'oblio
.... e lì attendi il compimento del nulla.
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