26 dicembre 2016

Dalla Fortuna - Jacopo da Bientina

Guido Reni - Fortuna, 1623 (Roma, Pinacoteca Vaticana)
Dalla Fortuna - Jacopo da Bientina

Fortuna: A udirti parlar, Bartolin, godo;
ma i’ vo’ che tu sappi, io son Fortuna,
e sì ti vo’ far ricco in ogni modo.
Villano: Oh, i’ non ho più mai veduto ignuna
delle fortune! Vo’ sète pur bella,
da comparir dove fosse ciascuna.
I’ ve sento chiamar malvagia e fella,
i’ mi credeva che vo’ fussi el vento,
quando la casa e ’l tetto mi tempella.
Voletemi far ricco? I’ nol consento,
ch’io non vo’ ir più su ch’ito mi sia
per non entrar in qualche strano stento.
E’ mi dà alle volte ricadia
se le pecore mie vanno a far danno
e di non perder quelle ho gelosia.
Per questo io penso come i ricchi fanno,
che hanno spesso la robba in sul mare
e credo che gli stien mal tutto l’anno,
o almen quanto ella pena a tornare;
ché pena pur avran, se la si perde;
oh, non si den poter mai rallegrare.
Di me non è così: s’i’ veggo verde
la campagna talor, me riconsiglio
d’aver del bene e l’animo rinverde.
Se manca un po’ di gran, tolgo del miglio;
e se gli è poco vin, l’acqua mi basta
per la sete, e non ho ignun scompiglio.
I’ metto su due ceppi una catasta
e stommi al fuoco a far gabbie e céstole,
la sera al verno o i’ drizzo qualche asta
e se v’è cose rotte in casa annestole.
La donna fila e riconciasi i panni,
chi rattaccona scarpe e chi fa mestole.
Sì ch’io mi sto senza pena o affanni,
e l’ir cercando miglior pan che ’l grano
potre’ tornar a casa con malanni.
Ma se Dio mi dà grazia di star sano,
i’ non vo’ più ricchezze o più tesori:
ha egli altro che vivere ’l cristiano
sì che Dio in paradiso lo ristori?

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