22 dicembre 2016

Ernesto Lapadula

 Roma - Palazzo della Civiltà Italiana
LAPADULA (La Padula), Ernesto (Ernesto Bruno). - 
Nacque a Pisticci, in Basilicata, il 6 ag. 1902, secondogenito - insieme con il gemello Cesare - degli undici figli di Donato e Paola Maria Pierro. Dopo la maturità, conseguita al liceo scientifico di Melfi nel 1923, si iscrisse all'Accademia di belle arti di Roma; passò quindi alla Scuola superiore di architettura, dove si laureò nel 1931 con una tesi sulla casa del fascio di Taranto, premiata con la medaglia d'oro. Già da liceale iniziò a disegnare delicate vignette umoristiche e intestazioni per piccoli periodici artistici e letterari: Minima (1920), Cuore, Il Roseto e il quindicinale dialettale Sciure e penziere (1922), Fascino (1923); quindi, adottando lo pseudonimo Bruno di Lucania, realizzò vignette e titoli in moduli déco per La Fiaccola e per Varietas (1924).
A Roma, dove, studente universitario, frequentava l'ambiente degli artisti, tra il 1927 e 1930 fece le prime esperienze professionali: nel 1927 partecipò al concorso per edicole funerarie per il cimitero del Verano e disegnò manifesti in stile futurista e, in forme più tradizionali, per la XCIII Esposizione degli amatori e cultori; l'anno successivo progettò con M. Paniconi le scene per La scommessa imprevista di M.-J. Sedaine, al teatro Duse.
Nello stesso tempo, il Lapadula strinse un sodalizio con G. Marletta, catanese, conosciuto alla Scuola di architettura. Con lui nel 1929 concorse per la sistemazione dei giardini di piazza Bellini a Catania, e nel 1930 fu selezionato al concorso d'idee per una villa monofamiliare bandito dalla IV Triennale di Monza. A novembre dello stesso anno i due architetti aderirono al Movimento italiano per l'architettura razionale; e il loro studio ospitò le prime riunioni del "gruppo romano". Conseguentemente, nel 1931 essi portarono alla II Esposizione italiana di architettura razionale i progetti per una villa al mare e due studi sul tema dell'organizzazione di cellule abitative minime: case in serie a blocchi abbinati, e casette a schiera per un villaggio per ceramisti a Seminara (in provincia di Reggio Calabria). Lo stesso anno ricevettero il quarto premio al concorso per la nuova Palazzata di Messina, con un gruppo di edifici dai volumi semplici attraversati dal telaio in cemento armato, evidenziato cromaticamente nei prospetti, ingentiliti da minime aggiunte decorative. Radicalizzando lo stesso principio, nel 1932 il Lapadula partecipò con A. Morabito e M. Romano ai cinque concorsi per chiese nella diocesi di Messina, proponendo altrettante articolazioni di volumi entro la scatola del telaio strutturale (Rassegna di architettura, 15 marzo 1932, pp. 129-131; 15 dic. 1932, pp. 531-537).
Meno radicale appare il Lapadula quando nel 1934 poté realizzare la chiesa di S. Rocco nella nativa Pisticci (prima importante opera in Basilicata, cui nel 1935 seguirono il palazzo dell'Economia corporativa a Matera e, tra 1938 e 1943, il palazzo delle poste a Potenza), edificio più novecentista che razionalista, dalle cadenze simmetriche, in muratura portante e a vista, che conserva la tradizione del portico ad archi e il tetto a capanna.
Dal gennaio all'aprile 1933 il Lapadula firmò sul settimanale Futurismo la rubrica "Notiziario di architettura", in cui proclamava il funerale delle colonne e dei capitelli; si richiamava ad A. Sant'Elia; polemizzava contro M. Piacentini, A. Calza Bini e i "professori di disegno"; chiedeva la moralizzazione dei concorsi che reprimevano le tendenze innovatrici e garantivano gli incarichi ai tradizionalisti; criticava le brutture architettoniche sorte dai recenti concorsi; difendeva il progetto modernista per la stazione di Firenze e le ragioni del razionalismo; insisteva per l'abolizione dell'ornato e per la creazione di uno stile moderno, proprio della città fascista.
Il 1933 fu un anno di svolta professionale; finito il sodalizio con Marletta, il Lapadula tagliò i rapporti con l'architetto A. Valente, di cui era stato collaboratore, in conseguenza di una polemica - accesa sulle pagine del Tevere (13 febbr. 1933) - sulla paternità di un progetto per il padiglione italiano all'Esposizione internazionale di Chicago, rivendicato dal Lapadula come lavoro di collaborazione, mentre Valente ridimensionava il Lapadula a mero sviluppatore grafico di un suo abbozzo.
Gli anni successivi furono fitti di incarichi e concorsi d'architettura per enti pubblici o per il Partito nazionale fascista: tra i concorsi, quelli del 1933 per il palazzo delle Poste del quartiere Appio a Roma; del 1934 per le preture dei quartieri Appio e Aventino (ibid., giugno 1934, pp. 261-263); del 1934 e del 1937 rispettivamente per il primo e il secondo grado del concorso per il palazzo littorio (con V. Cafiero, E. Rossi e M. Ridolfi); del 1940 per la casa del fascio di Verona. In Sicilia, realizzò per l'Opera balilla le case di Porto Empedocle (ibid., agosto-settembre 1934, p. 349) e di Cattolica Eraclea (1933-36), nonché la casa del balilla e la casa del fascio (1934-37) di Ragusa.
Dal 1936, con la VI Mostra mercato dell'artigianato di Firenze (dove il Lapadula allestì il salone centrale), si rinsaldò la collaborazione con M. Romano e G. Guerrini. Alla fine di quell'anno il Lapadula e Romano affiancarono Guerrini nella Mostra nazionale dell'istruzione tecnica al palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel 1937 iniziò la stagione delle grandi rassegne al circo Massimo: il Lapadula progettò pannelli e fotomontaggi per il padiglione dell'Opera nazionale maternità e infanzia alla Mostra nazionale delle colonie estive e dell'assistenza all'infanzia, quindi nel 1938 la foresteria alla Mostra nazionale del dopolavoro e, alla fine dell'anno, il padiglione dei minerali vari per la Mostra autarchica del minerale italiano. Nel maggio 1939, dopo un viaggio in Tripolitania e in Etiopia, compiuto anche per studiare il restauro dei castelli di Gondar, il Lapadula visitò la New York World's Fair (per la quale aveva coadiuvato Guerrini nel disegno del vestibolo del padiglione italiano dedicato all'E42), e ne tornò con un reportage fotografico parzialmente pubblicato in un suo articolo per Architettura (luglio 1939, pp. 395-430).
Nel 1940 la Triennale delle Terre d'Oltremare di Napoli gli offrì l'occasione di coordinare una grande esposizione. Il Lapadula era a capo dell'ufficio di allestimento generale, nonché progettista del severo padiglione delle Forze armate e di quello della Banca d'Italia.
Ma il nome del Lapadula resta legato - come capogruppo insieme con Guerrini e Romano - all'edificio più emblematico della Roma fascista, il palazzo della Civiltà italiana, su cui fino agli anni Ottanta del Novecento ha pesato il pregiudizio di architettura spuria e insincera, instillato da G. Pagano e G. Ponti, e rinsaldato da B. Zevi, che videro nei suoi archi una mascheratura del telaio in cemento armato e pertanto un tradimento del dogma razionalista dell'identità visiva di forma e struttura.
Vincitore del concorso bandito dall'E42 nel 1937, in fase di progetto esecutivo il palazzo fu modificato, tanto nelle proporzioni (da cubo traforato da otto loggiati di tredici archi sovrapposti a parallelepipedo di sei loggiati di nove archi, coronati da un attico), quanto nella struttura interna, tanto da essere sostanzialmente disconosciuto dai suoi autori.
Nel 1942 il Lapadula e il fratello Attilio vinsero il concorso per la città universitaria di Bratislava, non realizzata. Nel dopoguerra il Lapadula partecipò al dibattito architettonico e urbanistico; firmò come capogruppo il piano di ricostruzione di Rimini (1946); realizzò con Attilio alcuni arredi di esercizi commerciali a Roma; scrisse per il foglio Alfabeto e, dal 1944 al 1949, per Il Tempo. Nel 1949 lasciò l'insegnamento all'Università di Roma (dal 1937 era assistente al corso di disegno architettonico e rilievo dei monumenti), per assumere la cattedra di composizione architettonica, quindi di urbanistica, dell'Università di Córdoba (in Argentina). A Córdoba, dove già si erano trasferiti i fratelli Angelo, Giovanni e lo stesso gemello Cesare, il Lapadula si dedicò alla didattica; tenne conferenze; collaborò alla rivista Historia del urbanismo e al quotidiano Los principios; fu giudice di diversi concorsi di architettura e pianificazione urbana. Dal 1950 al 1963 fu consulente per la pianificazione territoriale per i governi delle province di Córdoba, Catamarca e Salta; nel 1962 redasse le linee generali e le norme edilizie del piano regolatore della città di Córdoba, pianificandone la nuova espansione e la salvaguardia del pregevole centro storico.
Nel 1963 tornò in Italia e riprese l'attività professionale con il fratello Emilio. Insieme progettarono centri turistici nelle isole di Favignana, Levanzo e Marettimo, e la sistemazione urbanistica per lo sviluppo turistico del lido di Pontecagnano (in provincia di Salerno).
Il Lapadula morì a Roma il 24 genn. 1968.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Ernesto Lapadula, Progetti. Dal concorso verso l'appalto, a cura di M. Casciato - A. Riecken, novembre 2000 (dattiloscritto); M. Ridolfi - V. Cafiero - E. La Padula - E. Rossi, Il progetto degli architetti di Roma Ridolfi, Cafiero, L. e Rossi, in Artecrazia, III (1934), 73, pp. 4 s.; G. Roisecco, Concorso per la sistemazione urbanistica ed architettonica della città universitaria di Bratislava, in Architettura, XXII (1943), 1, pp. 1-9; E.B. L. Opere e scritti, 1930-49, a cura di M. Casavecchia, Venezia 1986; G. Appella, L. e il Sud, Roma 1987; E42. Utopia e scenario del regime (catal.), a cura di M. Calvesi - E. Guidoni - S. Lux, II, Venezia 1987, pp. 89-92, 103, 353-360; G. Strappa - G. Mercurio, Architettura moderna a Roma e nel Lazio, 1920-1945. Atlante, Roma 1996, pp. 213, 126; V. De Feo, Il progetto del Gruppo Ridolfi al concorso per il palazzo del Littorio, in Casabella, LX (1996), 637, pp. 56-63; P. Barbera, Architetture siciliane di E.B. L. Dal sodalizio con Giuseppe Marletta agli incarichi professionali, in Lexicon, n. 0, dicembre 2000, pp. 95-113; Id., La piazza Impero e la casa del fascio a Ragusa. Storia e costruzione di un luogo urbano tra le due guerre, Ragusa 2000; Architetti e ingegneri italiani in Argentina, Uruguay e Paraguay, a cura di L. Patetta, Roma 2002, pp. 87-89; P. Barbera, Architetture in Sicilia tra le due guerre, Palermo 2002, passim; Il palazzo della Civiltà italiana. Architettura e costruzione del Colosseo quadrato, a cura di M. Casciato - S. Poretti, Milano-Roma 2002, passim (con bibl. precedente); R. D'Onofrio, Il "S. Rocco" di E.B. L. a Pisticci, in Siti, II (2003), 2, pp. 34 s.; Adalberto Libera nelle carte dell'Archivio centrale dello Stato, a cura di M. Giannetto, Roma 2004, pp. 31, 62. 
(Enciclopedia Treccani)

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