25 dicembre 2016

Ludovico Ariosto - da Orlando furioso. Canto XI, LXVII-LXXI

Giulio Romano - Giove e Olimpia. Mantova, Palazzo Te

da Orlando furioso – Ludovico Ariosto

Canto XI, LXVII-LXXI

Le bellezze d' Olimpia eran di quelle  
che son più rare: e non la fronte sola,  
gli occhi e le guancie e le chiome avea belle,  
la bocca, il naso, gli omeri e la gola; 
ma discendendo giù da le mammelle,  
le parti che solea coprir la stola,  
fur di tanta eccellenza, ch' anteporse  
a quante n' avea il mondo potean forse.  
Vinceano di candor le nievi intatte,  
et eran più ch' avorio a toccar molli:  
le poppe ritondette parean latte  
che fuor dei giunchi allora allora tolli.  
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte  
esser veggiàn fra piccolini colli  
l'ombrose valli, in sua stagione amene,  
che 'l verno abbia di nieve allora piene.  
I rilevati fianchi e le belle anche, 
e netto più che specchio il ventre piano,  
pareano fatti, e quelle coscie bianche,  
da Fidia a torno, o da più dotta mano.  
Di quelle parti debbovi dir anche,  
che pur celare ella bramava invano?  
Dirò insomma, ch' in lei dal capo al piede,  
quant' esser può beltà, tutta si vede.  
Se fosse stata ne le valli Idee  
vista dal pastor frigio, io non so quanto  
Vener, se ben vincea quell' altre dee, 
portato avesse di bellezza il vanto:  
Né forse ito saria ne le Amiclee 
contrade esso a violar l'ospizio santo;  
ma detto avria: - Con Menelao ti resta,  
Elena pur; ch' altra io non vo' che questa. -  
E se fosse costei stata a Crotone, 
quando Zeusi l'imagine far volse,  
che por dovea nel tempio di Iunone,  
e tante belle nude insieme accolse;  
e che, per una farne in perfezione,  
da chi una parte e da chi un'altra tolse:  
Non avea da torre altra che costei;  
che tutte le bellezze erano in lei.

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