26 novembre 2018

da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen

da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen

La profezia degli aztechi si era avverata: il loro sacro miscuglio era diventato il cibo degli dèi, o almeno dei demagoghi aristocratici che erano come dèi in terra nell’Europa del XVIII secolo. All’epoca di Madame du Barry l’Europa era divisa in tre classi sociali, ognuna delle quali si identificava con una particolare mistura. I contadini preferivano ancora la birra. La classe media, che lavorava duramente, aveva adottato stimolanti come il tè o il caffè. Gli aristocratici, per i quali la parola lavoro equivaleva a una bestemmia, optarono per la cioccolata. “La cioccolata sembra essere uno status symbol dell’ancien régime” scriveva lo
storico Wolfgang Schivelbush. Tale associazione è sottolineata in numerosi dipinti dell’epoca che raffigurano conti e contesse che oziano a letto con una tazza di cioccolata tra le mani, e che si ritrova in personaggi letterari come Monsignor, il cui meticoloso rituale nella preparazione della cioccolata venne usato da Charles Dickens nel suo Le due città per caratterizzare la crudeltà dell’aristocrazia francese. Per non parlare di Cosimo III, l’ultimo dei Medici, famoso sia per le sue razzie nelle campagne toscane alla ricerca di prelibati bocconcini che soddisfacessero i suoi gusti stravaganti sia per la sua ricetta segreta della cioccolata profumata al gelsomino. La apprezzava particolarmente quando assisteva all’esecuzione degli infedeli messi al rogo. Il collegamento tra la bevanda e il sadismo aristocratico fece nascere l’espressione “cioccolata di Sade” che, spiega la studiosa Barbara Lekatsas, fu creata per celebrare “la cioccolata come un afrodisiaco che simboleggiava il potere: la sacra e sontuosa bevanda dal sapore dolce e amaro, sottratta agli indiani dopo averli massacrati”.

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