Alexandre Cabanel - Fallen Angel, detail
Il funerale di Sarpèdone – Costantino Kavafis
Addolorato è Zeus, Patroclo ha ucciso
Sarpèdone; e il figlio di Menetio con gli Achei
già s’avventa a carpire
il corpo, a farne strazio.
Questo non piace a Zeus.
Al suo fanciullo amato – l’ha lasciato
perire: era Legge –
in morte almeno vuol rendere onore.
E manda Febo laggiù nella piana
e lo ragguaglia sul pietoso ufficio.
Ecco: il cadavere dell’eroe, riguardoso
e dolente, solleva Febo. Al fiume lo reca.
E gli terge la polvere e il sangue,
chiude le sue tremende piaghe, sì che non resti
vestigio parvente; gli aromi
d’ambrosia versa su di lui; l’abbiglia
con vesti Olimpe, fulgide.
La sua pelle biancheggia; con un pettine
di perla il dio gli pettina i capelli nerissimi.
Le belle membra assetta, adagia.
Ora somiglia un re giovine, auriga
- sugli anni venticinque o ventisei –
che si riposa dopo la vittoria,
col carro d’oro e i fulminei cavalli,
in qualche gara celebre.
Febo compì il mandato.
Poi chiamò i due fratelli, Sonno e Morte,
e ingiunse loro di recare il corpo
nella Licia, felice paese.
E a quel felice Paese, la Licia
i due fratelli fecero viaggio,
Sonno e Morte. Arrivarono
alla gran porta della reggia,
consegnarono il corpo glorioso,
e tornarono ad altre loro faccende e cure.
E là, come l’accolsero in casa, cominciarono,
con processioni, onori, trenodie,
e con i libami innumeri di pii crateri, e tutto
quanto s’addice, i funebri penosi.
Indi sapienti artefici chiamati di città
e rinomati marmorari giunsero
a fabbricare il tumulo e la stele.
Addolorato è Zeus, Patroclo ha ucciso
Sarpèdone; e il figlio di Menetio con gli Achei
già s’avventa a carpire
il corpo, a farne strazio.
Questo non piace a Zeus.
Al suo fanciullo amato – l’ha lasciato
perire: era Legge –
in morte almeno vuol rendere onore.
E manda Febo laggiù nella piana
e lo ragguaglia sul pietoso ufficio.
Ecco: il cadavere dell’eroe, riguardoso
e dolente, solleva Febo. Al fiume lo reca.
E gli terge la polvere e il sangue,
chiude le sue tremende piaghe, sì che non resti
vestigio parvente; gli aromi
d’ambrosia versa su di lui; l’abbiglia
con vesti Olimpe, fulgide.
La sua pelle biancheggia; con un pettine
di perla il dio gli pettina i capelli nerissimi.
Le belle membra assetta, adagia.
Ora somiglia un re giovine, auriga
- sugli anni venticinque o ventisei –
che si riposa dopo la vittoria,
col carro d’oro e i fulminei cavalli,
in qualche gara celebre.
Febo compì il mandato.
Poi chiamò i due fratelli, Sonno e Morte,
e ingiunse loro di recare il corpo
nella Licia, felice paese.
E a quel felice Paese, la Licia
i due fratelli fecero viaggio,
Sonno e Morte. Arrivarono
alla gran porta della reggia,
consegnarono il corpo glorioso,
e tornarono ad altre loro faccende e cure.
E là, come l’accolsero in casa, cominciarono,
con processioni, onori, trenodie,
e con i libami innumeri di pii crateri, e tutto
quanto s’addice, i funebri penosi.
Indi sapienti artefici chiamati di città
e rinomati marmorari giunsero
a fabbricare il tumulo e la stele.
Nessun commento:
Posta un commento