Opera di Domenico Gnoli
da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa
Filippo si accomodò su una poltrona, afferrò delicatamente la tazzina
per il manico arricciato, osservò in controluce la trasparenza della
porcellana bianca, quindi versò il caffè: era così forte che dal
beccuccio non colò un liquido, bensì un distillato denso che si
stratificò goccia a goccia. L’uomo poggiò appena le labbra sul bordo
sottile e bevve a piccoli sorsi. Quindi si accese una Lido, aspirò e rimase a osservare il fumo condensarsi sotto la lampada di opaline.
Concettina dal canto suo si godeva quel momento di intimità, respirando il profumo del costoso dopobarba che il fratello comprava a Firenze. Scrutò il suo volto altero e dall’espressione distaccata, e si sentì felice.
«Che ci talìi?» domandò brusco Filippo. Lei arrossì e distolse subito lo sguardo. Seguì un lungo silenzio e l’uomo ne approfittò per raccogliere le idee. Lavorava molto, e di tempo per riflettere ne aveva davvero poco. Negli ultimi anni, gli erano successe tante di quelle cose. Aveva aperto e chiuso la bancarella di piazza Bologni, comprato una libreria a piazza Verdi, s’era fatto un discreto nome tra la borghesia palermitana, molti intellettuali si trovavano spesso nel suo negozio a discutere dei pochi argomenti ancora permessi. Certo, Concettina non era proprio la libraia ideale, troppo provinciale per stimolare la curiosità dei lettori e indirizzare i loro gusti. “Dovrei dedicare un po’ più di tempo alla libreria” pensava tra sé e sé, “ma come faccio? Non posso certo lasciare la rappresentanza della casa editrice, non adesso.”
Il signor Vallecchi in persona gli aveva mandato una lettera densa di complimenti. Ormai la sapeva a memoria: Caro signor Ciuni, so che ella è tra i più attivi ed efficaci collaboratori di questa Casa Editrice e desidero perciò farle giungere la mia parola di lode e di incitamento. Questa Casa non vuole essere una bottega di libri, ma una fucina di opere e di idee, per cui tutti coloro che ne fanno parte sono investiti da una missione spirituale che va molto al di là delle loro funzioni tecniche o commerciali. Ella ha dimostrato di avere compreso e sentito questa nobiltà del suo incarico e sono quindi sicuro che continuerà a dargli tutto se stesso per fare conoscere ed apprezzare presso i privati, gli enti e le autorità quello che la nostra Casa ha compiuto e si propone di compiere nell’interesse della scuola, della cultura e dell’arte italiana…
Quelle parole l’avevano colpito nel profondo e si sentiva obbligato verso la Vallecchi, ma ormai nutriva ben altre ambizioni. Perciò sentiva forte il bisogno di collaboratori colti ed esperti. E anche una signora moglie sarebbe stata utile da portare in società.
«Sono l’uomo più solo del mondo» gli scappò dalla bocca insieme a un sospiro.
«Ma che dici?» si stupì Concettina. «Ci sono io! E poi hai Maria, dove la trovi una che ti dà sempre ragione?»
Lui scosse la testa, i suoi capelli impomatati rimasero malinconicamente al loro posto.
«Sei una brava sorella, premurosa, gran lavoratrice. Sai fare i conti…»
Lei sorrise e si schermì. “Però di libri non capisci proprio niente.” Quest’ultima considerazione Filippo la tenne per sé. E riguardo Maria, quella ragazza che tutti ritenevano la sua fidanzata… be’, era poco più che un cucciolo di randagio, pronta a leccargli la mano e a compiacerlo. Non era di schiave che aveva bisogno lui, ma di una donna di alto livello, capace di intrecciare relazioni. Una come la contessa Luisa Saracinelli, per esempio: che donna, che eleganza! Alta, bella, formosa, l’aveva conosciuta a Firenze, proprio in casa editrice. Era stata lei a invitarlo nel suo appartamento per un tè. Dopo quel pomeriggio si erano visti altre volte. Nulla di compromettente, ma ne era nato un grande sodalizio intellettuale.
Concettina dal canto suo si godeva quel momento di intimità, respirando il profumo del costoso dopobarba che il fratello comprava a Firenze. Scrutò il suo volto altero e dall’espressione distaccata, e si sentì felice.
«Che ci talìi?» domandò brusco Filippo. Lei arrossì e distolse subito lo sguardo. Seguì un lungo silenzio e l’uomo ne approfittò per raccogliere le idee. Lavorava molto, e di tempo per riflettere ne aveva davvero poco. Negli ultimi anni, gli erano successe tante di quelle cose. Aveva aperto e chiuso la bancarella di piazza Bologni, comprato una libreria a piazza Verdi, s’era fatto un discreto nome tra la borghesia palermitana, molti intellettuali si trovavano spesso nel suo negozio a discutere dei pochi argomenti ancora permessi. Certo, Concettina non era proprio la libraia ideale, troppo provinciale per stimolare la curiosità dei lettori e indirizzare i loro gusti. “Dovrei dedicare un po’ più di tempo alla libreria” pensava tra sé e sé, “ma come faccio? Non posso certo lasciare la rappresentanza della casa editrice, non adesso.”
Il signor Vallecchi in persona gli aveva mandato una lettera densa di complimenti. Ormai la sapeva a memoria: Caro signor Ciuni, so che ella è tra i più attivi ed efficaci collaboratori di questa Casa Editrice e desidero perciò farle giungere la mia parola di lode e di incitamento. Questa Casa non vuole essere una bottega di libri, ma una fucina di opere e di idee, per cui tutti coloro che ne fanno parte sono investiti da una missione spirituale che va molto al di là delle loro funzioni tecniche o commerciali. Ella ha dimostrato di avere compreso e sentito questa nobiltà del suo incarico e sono quindi sicuro che continuerà a dargli tutto se stesso per fare conoscere ed apprezzare presso i privati, gli enti e le autorità quello che la nostra Casa ha compiuto e si propone di compiere nell’interesse della scuola, della cultura e dell’arte italiana…
Quelle parole l’avevano colpito nel profondo e si sentiva obbligato verso la Vallecchi, ma ormai nutriva ben altre ambizioni. Perciò sentiva forte il bisogno di collaboratori colti ed esperti. E anche una signora moglie sarebbe stata utile da portare in società.
«Sono l’uomo più solo del mondo» gli scappò dalla bocca insieme a un sospiro.
«Ma che dici?» si stupì Concettina. «Ci sono io! E poi hai Maria, dove la trovi una che ti dà sempre ragione?»
Lui scosse la testa, i suoi capelli impomatati rimasero malinconicamente al loro posto.
«Sei una brava sorella, premurosa, gran lavoratrice. Sai fare i conti…»
Lei sorrise e si schermì. “Però di libri non capisci proprio niente.” Quest’ultima considerazione Filippo la tenne per sé. E riguardo Maria, quella ragazza che tutti ritenevano la sua fidanzata… be’, era poco più che un cucciolo di randagio, pronta a leccargli la mano e a compiacerlo. Non era di schiave che aveva bisogno lui, ma di una donna di alto livello, capace di intrecciare relazioni. Una come la contessa Luisa Saracinelli, per esempio: che donna, che eleganza! Alta, bella, formosa, l’aveva conosciuta a Firenze, proprio in casa editrice. Era stata lei a invitarlo nel suo appartamento per un tè. Dopo quel pomeriggio si erano visti altre volte. Nulla di compromettente, ma ne era nato un grande sodalizio intellettuale.
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