Antonio Donghi - Nudo
Lettera di Marina Cvetaeva a Rainer Maria Rilke Rainer, voglio venire da te anche per il mio nuovo io, quello – quella – che può nascere soltanto con te, soltanto in te. E allora Rainer, non arrabbiarti con me, sono io, io che voglio dormire con te – addormentarmi e dormire.
Splendida espressione popolare – quanto profonda, quanto autentica, quanto priva di ambiguità, esattamente come ciò che esprime. Semplicemente dormire, e null’altro.
No, ancora: la testa sprofondata nell’incavo della tua spalla sinistra, il braccio intorno a quella destra, e null’altro. No, ancora: e fin dentro il sonno più profondo sapere che sei tu. E ancora: il suono del tuo cuore.
E – baciare quel cuore.
La bocca l’ho sempre sentita come mondo: volta celeste, Il corpo l’ho sempre tradotto in anima, l’ho reso magnifico a tal punto che all’improvviso non ne è rimasto nulla.
Perché ti dico tutto questo? Per paura, forse – che tu mi ritenga comunemente passionale.
“Ti amo e voglio dormire con te” – all’amicizia non è data tanta concisione. Ma è con un’altra voce che io lo dico, quasi nel sonno profondo. Il mio suono è diverso da quello della passione.
Tutto ciò che mai dorme desidera saziarsi di sonno fra le tue braccia.
Fin dentro l’anima (gola) sarebbe il bacio. (non incendio: voragine).
Rainer, si fa sera, ti amo. Ulula un treno. I treni sono i lupi, i lupi la Russia. Non un treno – la Russia intera sta ululando verso di te.
Rainer, non arrabbiarti, oppure arrabbiati quanto vuoi: stanotte dormirò con te. Uno squarcio nel buio – ci sono le stelle – concludo: finestra. (Alla finestra penso, non al letto, quando penso a te e a me.)
Gli occhi spalancati, perché fuori è ancora più buio che dentro.
Il letto è un vascello, ci mettiamo in viaggio.
Non occorre che tu risponda – continua a baciare.
M.
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