foto Dariusz Klimczak
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa
103. A volte, quando alzo la testa stordita dai libri su cui trascrivo i conti altrui e l’assenza di una vita mia, sento una nausea fisica, che può dipendere dallo stare incurvati, ma che trascende i numeri e la disillusione. La vita mi disgusta come una medicina inutile. Ed è allora che io sento con chiara visione come sarebbe facile allontanare questo tedio se avessi la semplice forza di volerlo davvero cacciare. Viviamo attraverso l’azione, cioè, attraverso la volontà. L’impotenza, siamo noi geni o accattoni, ci affratella a coloro che non sanno volere. A cosa mi serve citarmi come genio se risulto aiutante contabile? Quando Cesário Verde ha fatto annunciare al medico che lui non era il signor Verde impiegato nel commercio, ma il poeta Cesário Verde, ha usato uno di quei verbalismi di inutile orgoglio che trasudano odore di vanità. Di fatto, poveretto, non è mai stato altro che il signor Verde impiegato nel commercio. Il poeta è nato dopo che egli era morto, perché dopo la sua morte è nata la stima per il poeta. Agire, questa è la vera intelligenza. Sarò quello che vorrò. Ma devo volere quello che sarò. Il successo sta nell’avere successo e non nell’avere i requisiti per il successo. Qualsiasi vasta terra possiede le prerogative del palazzo, ma dove sarà il palazzo se lì non è stato fatto? Il mio orgoglio lapidato da ciechi e la mia disillusione calpestata da mendicanti. «Ti voglio solo come sogno», dicono alla donna amata, nei versi che non le mandano, coloro che non osano dirle niente. Questo «Ti voglio solo come sogno» è un verso di una mia vecchia poesia. Ne registro la memoria con un sorriso e non commento neppure il sorriso.
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