10 settembre 2019

Un amore – Dino Buzzati

Un amore – Dino Buzzati

Partì alle sei e mezzo. Trovò le strade vuote. Peccato che il cielo fosse grigio. Ogni volta che il piede pressava sul pedale dell’acceleratore era uno spazio in meno che lo separava da lei. Lui di solito prudente fino all’esagerazione, volava attraverso la città. Le case ancora addormentate e livide, i semafori ancora occhieggianti barbagli gialli, la città colta di sorpresa.
Imboccò l’autostrada del Sole che il sole non era riuscito ancora a rompere la bruma. La pista era deserta.
Mai aveva provato a guidare a centoventi centotrenta all’ora. Accelerando, l’angolazione a imbuto delle righe bianche si contraeva stringendosi in modo preoccupante. Lei certo dormirà a quest’ora. Sola? Lei era laggiù in fondo, oltre l’orizzonte, lontanissima ancora.
Intorno. Non case, non fattorie, non colonnette di benzina come sulle strade solite. La campagna deserta. Prati fumiganti di nebbia e in fondo i lunghi schieramenti regolari di pioppi altissimi a quinte successive che si perdevano nelle lontananze. Via via che lui correva, da una parte e dall’altra gli alberi ruotavano concentrandosi in folla verso l’estremità del rettilineo e poi sgranandosi di fianco, mentre altri, più lontani, gli correvano avanti a rinserrarsi verso l’orizzonte; come se due immense piattaforme girassero in senso opposto una a destra, una a sinistra.
Non esisteva ancora il sole ma si capiva che dietro i velari di umidità e di nebbia, il sole c’era. Tutta la sterminata campagna lo aspettava, infreddolita. E a mano a mano che la lancetta bianca del tachimetro saliva con nervose oscillazioni, l’aria fredda faceva gorgo sulla nuca.
Poi gli parve che nel loro moto, corrispondente in senso inverso allo spostamento della macchina, i filari dei pioppi intendessero dirgli una cosa. Sì, la fuga degli alberi – intreccio fluido e cangiante di prospettive in una duplice rotazione della campagna a perdita d’occhio – aveva assunto una speciale intensità di espressione come quando uno sta per parlare.
Lui correva, volava anzi in direzione dell’amore e pure gli alberi che scivolando al limite delle praterie, erano portati via da qualcosa più forte di loro. Ciascuno aveva una sua fisionomia, una forma speciale, una sagoma diversa. Ed erano tanti, migliaia e migliaia. Eppure una comune forza li trascinava nel gorgo. Tutti i pioppi della smisurata campagna fuggivano esattamente come lui ruotando in due vastissime ali ricurve.
Era uno spettacolo, nel solitario mattino, con la strada vuota dinanzi e i prati vuoti, le campagne vuote, non si vedeva un’anima, sembrava che, tranne lui, tutti si fossero dimenticati che esistesse quel pezzo di mondo. E lei era laggiù in fondo, dietro l’ultimissimo sipario di alberi anzi molto più in là, probabilmente stava dormendo con la testa sprofondata nel cuscino, fra lista e lista delle tapparelle la luce del giorno nuovo penetrava nella stanza illuminando la massa dei suoi capelli neri, immota. Era sola?

Nessun commento:

Posta un commento