Conoscenza - Grazia Fresu
Dissanguati i globi stupefatti
dell’alto rigoglioso melograno
il sangue m’ ha segnato d’avventura,
cosparso il capo d’umili tesori,
nella veglia i gigli
spingono le corolle tra le dune
ed ecco nel mio ventre d’erba spina
la testa van posando
i re che han faticato a governare,
i marinai salvati dal naufragio,
le amiche ingentilite dal meriggio
di un’estate odorosa,
diamanti di gaietto
dentro gli occhi avvinti alla ventura
delle stagioni e degli accadimenti,
mangio seduta sulla via
il pane dei viandanti,
il nutrimento delle farfalle d’oro
porporino frullare d’ali
al tempo delle attese,
s’ infuoca tra le mani il tamburo del vento,
l’acido irrigidirsi di un mattino
in cui mondi sconfitti barattano
per l’ultimo minuto
un sogno ancor perfetto di sapienza,
esaltate rovine
tra i fagotti maculati degli esuli,
nel fondo di un turibolo ornato di rubini
a consolare il pianto delle genti.
L’oceano braccato dai lamenti,
dalla follia di amanti separati
mi priva dell’alloro
che ad Olimpia si accende
nel bracere delle gare avvampate
nei corpi reclutati come il vanto
di una stirpe sublime,
schivo i colpi feroci
i sorvegliati crocicchi delle strade
le verità più nude,
i vestimenti degli antenati,
leggo sopra il Libro dei morti
la preghiera che al Dio va consegnata
sulla barca tra continenti ormai misconosciuti
e il Dio è questo uccello
di trasparenze assorte
con seni di pietra alabastrina,
seni di donna voce da soprano
che lacerante profana la meta
severo come un canto di cicale.
Nessun commento:
Posta un commento