Donna in una tana - Paul Delvaux
Gli
specchi – Jorge Luis Borges
Io che
provai l'orrore degli specchi
non solo
innanzi al vetro impenetrabile
dove ha
principio e fine, inabitabile,
un
irreale spazio di riflessi
ma
all'acqua speculare che raddoppia
quell'altro
azzurro nel suo fondo cielo
che
solca a volte un illusorio volo
d'uccello
inverso o che un tremore increspa
e
innanzi alla silente superficie
dell'ebano
sottile il cui nitore
ripete
come un sogno la bianchezza
di un
vago marmo o di una vaga rosa,
oggi,
trascorsi già tanti e perplessi
anni
sotto la varia luna errando,
mi
chiedo quale caso della sorte
fece che
m'impaurissero gli specchi.
Specchi
in metallo, mascherato specchio
di
mogano che sfuma nella bruma
del suo
rosso crepuscolo quel volto
che
guarda il volto che lo sta guardando,
infiniti
li vedo, elementari
esecutori
di un antico patto,
moltiplicare
il mondo come l'atto
generativo,
vigili e fatali.
Il
nostro vano mondo incerto estendono
in una
ragnatela di vertigine;
a volte
accade, a sera, che li appanni
di un
uomo non ancora morte l'alito.
Il
cristallo ci spia. Se tra le quattro
pareti
della stanza c'è uno specchio,
non son
più solo. C'è il riflesso, l'altro,
che
appresta all'alba un tacito teatro.
Tutto
succede e nulla si ricorda
in quei
racchiusi spazi cristallini
dove,
come fantastici rabbini,
leggiamo
dalla destra alla sinistra.
Claudio,
re di una sera, re sognato,
non
seppe d'esser sogno fino a quando
non ne
mimò un attore il tradimento
con arte
silenziosa, sull'assito.
Strano
che esistano gli specchi, i sogni,
che il
consueto e logoro inventario
d'ogni
giorno comprenda l'illusorio
orbe
profondo ordito dai riflessi.
Dio (ho
pensato) assegna certo un fine
a questa
architettura inafferrabile
che
edifica la luce col nitore
del
cristallo e la tenebra del sogno.
Dio ha
creato le notti popolate
di sogni
e le parvenze dello specchio
affinché
l'uomo senta che è riflesso
e
vanità. Per questo ci spaventano.
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