1 aprile 2015

Gli specchi – Jorge Luis Borges

Donna in una tana - Paul Delvaux
Gli specchi – Jorge Luis Borges

Io che provai l'orrore degli specchi
non solo innanzi al vetro impenetrabile
dove ha principio e fine, inabitabile,
un irreale spazio di riflessi

ma all'acqua speculare che raddoppia
quell'altro azzurro nel suo fondo cielo
che solca a volte un illusorio volo
d'uccello inverso o che un tremore increspa

e innanzi alla silente superficie
dell'ebano sottile il cui nitore
ripete come un sogno la bianchezza
di un vago marmo o di una vaga rosa,

oggi, trascorsi già tanti e perplessi
anni sotto la varia luna errando,
mi chiedo quale caso della sorte
fece che m'impaurissero gli specchi.

Specchi in metallo, mascherato specchio
di mogano che sfuma nella bruma
del suo rosso crepuscolo quel volto
che guarda il volto che lo sta guardando,

infiniti li vedo, elementari
esecutori di un antico patto,
moltiplicare il mondo come l'atto
generativo, vigili e fatali.

Il nostro vano mondo incerto estendono
in una ragnatela di vertigine;
a volte accade, a sera, che li appanni
di un uomo non ancora morte l'alito.

Il cristallo ci spia. Se tra le quattro
pareti della stanza c'è uno specchio,
non son più solo. C'è il riflesso, l'altro,
che appresta all'alba un tacito teatro.

Tutto succede e nulla si ricorda
in quei racchiusi spazi cristallini
dove, come fantastici rabbini,
leggiamo dalla destra alla sinistra.

Claudio, re di una sera, re sognato,
non seppe d'esser sogno fino a quando
non ne mimò un attore il tradimento
con arte silenziosa, sull'assito.

Strano che esistano gli specchi, i sogni,
che il consueto e logoro inventario
d'ogni giorno comprenda l'illusorio
orbe profondo ordito dai riflessi.

Dio (ho pensato) assegna certo un fine
a questa architettura inafferrabile
che edifica la luce col nitore
del cristallo e la tenebra del sogno.

Dio ha creato le notti popolate
di sogni e le parvenze dello specchio
affinché l'uomo senta che è riflesso
e vanità. Per questo ci spaventano.

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