11 novembre 2018

da “Gli amori difficili”. L'avventura di un viaggiatore, (1957) – Italo Calvino

da “Gli amori difficili”. L'avventura di un viaggiatore, (1957) – Italo Calvino
(…)
Col viso sull'amoroso guanciale stette un po' a sentire i ronzii del regolatore come misteriosi messaggi di mondi ultraterreni. Il treno percorreva la terra, sormontata da spazi interminabili, e in tutto l'universo lui e lui solo era l'uomo che correva verso Cinzia U.
Il risveglio seguente fu al grido del venditore di caffè della Stazione Principe. Il rappresentante era sparito. Federico turò con cura le falle della sua muraglia di tendine, e stette ad ascoltare con apprensione ogni passo che s'avvicinava nel corridoio, ogni scorrere di portiere. No, non entrò nessuno.
Ma a GenovaBrignole una mano s'aperse un varco, annaspò, cercò di liberare le tendine, non riuscì, una forma umana apparve carponi, gridò in dialetto verso il corridoio: - Venite! Qui c'è vuoto! – Rispose uno scalpiccio pesante, di scarponi, rotte voci, e quattro alpini entrarono nel buio dello scompartimento e a momenti si sedevano addosso a Federico. Mentre si chinavano su di lui come su di un animale sconosciuto: - Oh! E chi è che c'è qui? - lui si levò di scatto sulle braccia e li aggredì: - Ma non ce n'è altri di scompartimenti? - No, tutti pieni, - risposero, - ma tanto noi ci mettiamo da questa parte, stia comodo -. Si sarebbero detti intimiditi, invece erano soltanto abituati ai modi bruschi, e non facevano caso a nulla; si buttarono a sedere schiamazzando. - Andate lontano? - domandò Federico, fattosi più mite, dal suo guanciale. No, scendevano a una delle prime stazioni. - E lei, dov'è che va? - A Roma. - Madonna! Fino a Roma! - Il loro tono di stupefatto compatimento si trasformò, in cuore a Federico, in uno struggimento d'eroico orgoglio.
Così continuò il viaggio. - Potete spegnere la luce? - Spengono, e rimangono senza volto nel buio, rumorosi, ingombranti, spalla a spalla. Uno solleva una tendina dal finestrino e guarda fuori: la notte è chiara, Federico coricato vede solo il cielo e ogni tanto una fila di lampade d'una stazioncina che gli abbagliano gli occhi e sventagliano d'ombre il soffitto. Gli alpini sono rozzi campagnoli, vanno a casa in licenza, non smettono di parlare forte e apostrofarsi, e alle volte nel buio s'avventano manate e pugni, tranne uno che dorme e uno che tosse. Parlano un cupo dialetto, Federico afferra ora sì ora no le parole, questioni di caserma, di bordello. Chissà perché, sentiva di non odiarli. Adesso era con loro, quasi uno di loro, e s'immedesimava in loro per il piacere di pensarsi domani al fianco di Cinzia
U. e provare le vertigini dell'improvviso cambiamento di destino. Ma questo non per soverchiarli, come con lo sconosciuto di prima; adesso restava oscuramente dalla parte loro, era con la loro inconsapevole investitura che andava verso Cinzia, era in tutto quel che è più lontano da lei il valore d'avere lei, il senso d'essere lui ad averla.
Ora a Federico formicola un braccio. Lo alza, lo scuote, il formicolio non passa, si trasforma in dolore, il dolore in lento benessere e lui mulina il braccio contorto in aria. Gli alpini sono lì tutti e quattro che lo scrutano a bocca aperta. - Cosa gli ha preso... Si sta sognando... Ma cosa fa, dì... - Poi, con labilità giovanile passano a canzonarsi tra loro. Federico adesso cerca di riattivare la circolazione in una gamba, mettendo il piede per terra e pestando forte.
(…)

Nessun commento:

Posta un commento