Antonio Donghi - Le villeggianti, 1934, dettaglio
Notizie dall’Amiata - Eugenio Montale I.
Il fuoco d’artifizio del maltempo
sarà murmure d’arnie a tarda sera.
La stanza ha travature
tarlate ed un sentore di meloni
penetra dall’assito. Le fumate
morbide che risalgono una valle
d’elfi e di funghi fino al cono diafano
della cima m’intorbidano i vetri,
e ti scrivo di qui, da questo tavolo
remoto, dalla cellula di miele
di una sfera lanciata nello spazio –
e le gabbie coperte, il focolare
dove i marroni esplodono, le vene
di salnitro e di muffa sono il quadro
dove tra poco romperai. La vita
che t’affàbula è ancora troppo breve
se ti contiene! Schiude la tua icona
il fondo luminoso. Fuori piove.
II.
E tu seguissi le fragili architetture
annerite dal tempo e dal carbone,
i cortili quadrati che hanno nel mezzo
il pozzo profondissimo; tu seguissi
il volo infagottato degli uccelli
notturni e in fondo al borro l’allucciolìo
della Galassia, la fascia d’ogni tormento.
Ma il passo che risuona a lungo nell’oscuro
è di chi va solitario e altro non vede
che questo cadere di archi, di ombre e di pieghe.
Le stelle hanno trapunti troppo sottili,
l’occhio del campanile è fermo sulle due ore,
i rampicanti anch’essi sono un’ascesa
di tenebre ed il loro profumo duole amaro.
Ritorna domani più freddo, vento del nord,
spezza le antiche mani dell’arenaria,
sconvolgi i libri d’ore nei solai,
e tutto sia lente tranquilla, dominio, prigione
del senso che non dispera! Ritorna più forte
vento di settentrione che rendi care
le catene e suggelli le spore del possibile!
Son troppo strette le strade, gli asini neri
che zoccolano in fila dànno scintille,
dal picco nascosto rispondono vampate di magnesio.
Oh il gocciolìo che scende a rilento
dalle casipole buie, il tempo fatto acqua,
il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento,
il vento che tarda, la morte, la morte che vive!
III.
Questa rissa cristiana che non ha
se non parole d’ombra e di lamento
che ti porta di me? Meno di quanto
t’ha rapito la gora che s’interra
dolce nella sua chiusa di cemento.
Una ruota di mola, un vecchio tronco,
confini ultimi al mondo. Si disfà
un cumulo di strame: e tardi usciti
a unire la mia veglia al tuo profondo
sonno che li riceve, i porcospini
s’abbeverano a un filo di pietà.
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