3 settembre 2017

Priamo. Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco

Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco
Priamo
E tutti videro il re rotolarsi nel fango, impazzito dal dolore. Vagava dall'uno all'altro a supplicare che lo lasciassero andare alle navi degli Achei a riprendersi il corpo del figlio. Con la forza, dovettero tenerlo fermo, il vecchio pazzo. Per giorni rimase seduto in mezzo ai figli, chiuso nel suo mantello. Solo pena e lamenti, intorno a lui.
Piangevano, uomini e donne, tutti, ripensando agli eroi perduti. Il vecchio aspettò che il fango si indurisse tra i suoi capelli e sulla sua pelle bianca. Poi, una sera, si alzò. Andò nel talamo e fece chiamare la sua sposa, Ecuba. E quando l'ebbe di fronte le disse: "Io devo andare laggiù. Porterò doni preziosi che addolciranno l'animo di Achille. Io devo farlo" . Ecuba prese a disperarsi. "Mio dio, dov'è finita la saggezza per cui andavi famoso? Vuoi andare alle navi, tu, da solo, vuoi finire davanti all'uomo che tanti figli ti ha ucciso? Quello è un uomo spietato, cosa credi, che avrà pietà di te, e rispetto? Stattene qui a piangere nella tua casa, per Ettore noi non
possiamo fare più niente, era il suo destino farsi divorare dai cani lontano da noi, preda di quell'uomo a cui strapperei il fegato a morsi." Ma il vecchio re le rispose: "Io devo andare laggiù. E non sarai tu a fermarmi. Se è destino che io muoia presso le navi degli Achei, ebbene, morirò: ma non prima di aver stretto tra le braccia mio figlio, e pianto tutto il mio dolore su di lui".
Così disse, e poi fece aprire tutti gli scrigni più preziosi. Scelse dodici pepli bellissimi, dodici mantelli, dodici coperte, dodici teli di lino candido, e dodici tuniche. Pesò dieci talenti d'oro, e prese due tripodi lucenti, quattro lebeti e una coppa meravigliosa, dono dei Traci. Poi corse fuori e a tutta quella gente che piangeva in casa sua si mise a gridare, furibondo "Andatevene via, miserabili, infami, non avete una casa vostra dove andare a piangere?, dovete proprio stare qui a tormentarmi, non vi basta che Zeus mi abbia tolto Ettore, che di tutti i miei figli era il migliore, sì, il migliore, mi avete sentito bene, mi hai sentito, Paride?, e tu, Deifobo, e voi Polite, Agatone, Eleno, lui era il figlio migliore, miserabili, perché non siete morti voi al posto suo? eh? io li avevo figli valorosi, ma tutti li ho perduti, e mi sono rimasti i peggiori, i vanitosi, i bugiardi, quelli buoni solo a danzare e a rubare. Cosa aspettate, infami, uscite da qui e andate a preparare un carro, subito, io devo mettermi in cammino". Tremavano tutti, davanti alle grida del vecchio re. E dovevate vederli, come corsero via, a preparare un carro e a caricarlo con tutti i doni, e poi i muli e i cavalli, tutto... Nessuno discuteva più. Quando tutto fu pronto arrivò Ecuba. Teneva nella mano destra una coppa piena di dolce vino. Si avvicinò al vecchio re e gliela porse. "Se proprio vuoi andare", gli disse, "Contro il mio volere, brinda almeno a Zeus, prima, e pregalo di farti tornare vivo." Il vecchio re prese in mano la coppa e poiché la sua sposa glielo chiedeva la alzò al cielo e pregò Zeus di avere pietà, e di fargli trovare amicizia e compassione là dove sarebbe andato. Poi salì sul suo carro. Tutti i doni li avevano caricati su un secondo carro, guidato da Ideo, l'araldo pieno di saggezza. Se ne partirono, il re e il fedele servitore, senza scorta, senza guerrieri, soli, nel buio della notte.
(…)

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