opera di Omar Ortiz
Acqua al mulino – Mary Dorcey
È
tutta acqua al mulino,
dici,
o almeno
è
così che mi consolo
per
aver perso così
tanto
del tuo prezioso
tempo.
Devo ricordare
alla
mente, consapevole,
che
chi scrive può
usare
tutto.
Siedo
sul bordo
del
letto d’ospedale,
porto
il cucchiaio
alla
tua bocca.
Niente
si butta,
dici,
nessuna
esperienza,
per
quanto terribile –
assolutamente
superflua.
Ti
pulisco il mento
col
fazzoletto.
Non
è vero?
Mi
chiedi,
volendo
che sia così.
Questo
suggerisci.
E
io decido
di
fare in modo che sia vero –
prendere
questo dolore –
questa
perdita irreparabile,
la
cancellazione
furtiva
di
cultura e passato,
questa
banale e
inespressa
sofferenza.
E
metterli all’opera.
Prendere
le tue risate,
la
tua confusione, gli
improvvisi
lampi di visione,
la
tua cupa ironia –
e
plasmarli
affinandoli
in
un artefatto,
qualcosa
che
puoi prendere
e
lasciare.
Qualcosa
su
cui puoi posare lo sguardo
e
da cui puoi distoglierlo.
Non come tutto questo –
Questo
subdolo esproprio,
questa
infame dipendenza
e
paura, che
nemmeno
il tuo umorismo da patibolo,
e
quel
retaggio
di famiglia –
l’orgoglio
–
riusciamo
a mascherare.
E
che una volta visto
non
possiamo smettere di vedere.
E
così decido
di
usare tutto – lo
scempio
e le offese,
accumulati
giorno dopo giorno sulle
rovine
di sé.
Renderli
utili –
come
un venditore
di
rottami e ossa –
portare
l’acqua al mulino.
Per
il tuo bene –
per
il mio.
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