9 marzo 2015

Monogramma - Odisseas Elitis

Paolo Veronese - La festa in casa di Levi
Monogramma - Odisseas Elitis


Ti piangerò sempre – mi senti -
da solo, in Paradiso

I
Girerà altrove le linee
Della mano, il Destino, come un manovratore
Per un attimo acconsentirà il Tempo
E come altrimenti, visto che si amano gli uomini.
Il cielo darà forma alle nostre viscere
E l’innocenza colpirà il mondo
Con l’acre nero della morte.
II
Piango il sole e piango gli anni che verranno
Senza di noi e canto gli altri passati
Se veramente sono
Confidenti i corpi e le barche che sbattono dolcemente
Le chitarre che accendono e spengono sotto le acque
I « credimi » e i « non »
Ora nel vento ora nella musica
E le nostre mani, due piccole bestie
Che furtive cercavano di salire l’una sull’altra
Il vaso di brezza negli aperti cortili
E i frammenti di mare che ci seguivano
Fin dietro le siepi e sopra i muri a secco.
L’anemone che si depose nella tua mano
E tremò tre volte il viola tre giorni sopra le cascate
Se tutto questo è vero io canto
La trave di legno e l’arazzo quadrato
Alla parete, la Gorgone con i capelli sciolti
Il gatto che ci guardò nel buio
Bambino con la croce vermiglia e l’incenso
Nell’ora che sull’impervia scogliera scende la sera
Piango la veste che sfiorai e fu mio il mondo.
III
Così parlo di te e di me
Perché ti amo e nell’amore so
Entrare come Plenilunio
Da ogni parte, per il tuo piccolo piede nelle lenzuola sconfinate
So sfogliare gelsomini – e ho la forza
Sopita, di soffiare e di portarti
Attraverso passaggi luminosi e segreti porticati del mare
Alberi ipnotizzati con ragnatele inargentate
Di te hanno sentito parlare le onde,
Come accarezzi, come baci,
Come sussurri il «cosa» e il «sì»
Tutt’intorno alla gola, alla baia
Sempre noi la luce e l’ombra
Sempre tu la piccola stella e sempre io l’oscuro natante
Sempre tu il porto e io il faro di destra
Il molo bagnato e il bagliore sopra i remi
In alto nella casa con i rampicanti
Le rose intrecciate, l’acqua che si fa fredda
Sempre tu la statua di pietra e sempre io l’ombra che cresce
Tu l’imposta accostata, io il vento che la apre
Perché ti amo e ti amo
Sempre tu la moneta e io l’adorazione che le dà valore:
Tanto la notte, tanto l’urlo nel vento
Tanto la goccia nell’aria, tanto il silenzio
Tutt’intorno il mare despota
L’arcata del cielo con le stelle
Tanto il tuo più piccolo respiro
E ormai non ho altro
Tra le quattro pareti, il soffitto, il pavimento
Se non l’urlo che è tuo e mi colpisce la mia voce
L’odore che è il tuo e s’infuriano gli uomini
Perché non sopportano quel che non hanno
Provato ed è loro straniero, è presto, mi senti
È presto ancora in questo mondo amore mio
Per parlare di te e di me.
IV
È presto ancora in questo mondo, mi senti
I mostri non sono stati domati, mi senti
Il mio sangue perduto e l’affilato, mi senti
Coltello
Come ariete corre nei cieli
E delle stelle spezza i rami, mi senti
Sono io, mi senti
Ti amo, mi senti
Ti prendo per mano, ti conduco, ti metto
La bianca veste nuziale di Ofelia, mi senti
Dove mi lasci, dove vai e chi, mi senti
Ti tiene per mano lassù tra i diluvi
Le gigantesche liane e la lava dei vulcani
Verrà giorno, mi senti
Che ci seppelliranno e poi, dopo migliaia di anni, mi senti
Non saremo che pietre lucenti, mi senti
Dove si rifrangerà l’indifferenza, mi senti
Degli uomini
E in migliaia di pezzi ci butterà, mi senti
Nell’acqua ad uno ad uno, mi senti
Conto i miei amari ciottoli, mi senti
E il tempo è una grande chiesa, mi senti
Dove le icone a volte, mi senti
Dei Santi
Piangono lacrime vere, mi senti
Le campane aprono in alto, mi senti
Un profondo valico per lasciarmi passare
Gli angeli aspettano con ceri e salmi funebri
Non me ne andrò via di qui, mi senti
O insieme tutti e due o nessuno, mi senti
Questo fiore della tempesta e, mi senti
Dell’amore
Una volta per sempre lo cogliemmo, mi senti
E non potrà più fiorire, mi senti
Su altri pianeti o stelle, mi senti
Non c’è la terra e neppure il vento
Lo stesso vento che toccammo, mi senti
E non un giardiniere che ci sia riuscito, mi senti
Da inverni e bore simili, mi senti
Spuntare un fiore, solo noi, mi senti
In mezzo al mare
Con la sola volontà dell’amore, mi senti
Alzammo intera tutta un’isola, mi senti
Con grotte, promontori e rupi in fiore
Senti, senti
Chi parla alle acque e chi piange – senti?
Chi cerca l’altro, chi grida – senti?
Sono io che grido e io che piango, mi senti
Ti amo, ti amo, mi senti.
V
Di te ho parlato in tempi lontani
Con esperte nutrici e vecchi partigiani
Perché mai questa tristezza di bestia selvaggia
Sul volto il riverbero d’acqua tremante
E perché mai venirti vicino
Se non voglio l’amore ma il vento
Se dell’alto mare aperto voglio il galoppo
E di te nessuno sapeva niente
Di te né il dittamo né il fungo
Sulle alture di Creta niente
Solo per te Dio accettò di guidarmi la mano
Più vicino, più lontano, con cura su tutto l’arco
Della sponda del volto, i seni, i capelli
Fluttuanti a sinistra sul colle
Il tuo corpo nella posizione del pino solitario
Occhi di fierezza e di trasparenti profondità
Dentro la casa con la vecchia credenza
I gialli merletti e il legno di cipresso
Da solo ad aspettare la tua prima apparizione
In alto nella loggia o dietro sul lastricato del cortile
Con il cavallo del Santo e l’uovo della Resurrezione
Come uscita da un affresco in rovina
Grande quanto ti volle la breve vita
Per contenere nel piccolo cero lo stentoreo bagliore del vulcano
Di te nessuno ha visto né sentito
Niente di te nelle case distrutte o nei deserti
Neppure l’avo sepolto lungo il muro di cinta
Di te neppure la vecchia con tutte le sue erbe
Di te soltanto io, forse, e la musica
che da me scaccio ma sempre più forte ritorna
Di te del tuo seno acerbo di dodicenne
Proteso sul futuro con il rosso cratere
Di te l’odore amaro che come uno spillo
Penetra nel corpo e punge il ricordo
Ed ecco i campi, i colombi, la nostra antica terra.
VI
Ho visto molte cose e la terra più bella appare nella mia mente
Più bella nei vapori dorati
La pietra tagliente, più bello
Il turchino degli istmi e i tetti tra le onde
Più belli i raggi dove passi senza toccare
Invincibile come la Dea di Samotracia sopra le montagne del mare
Così ti ho visto e mi basta:
Il tempo è stato assolto intero
Nel solco che il tuo passaggio lascia
Perché come delfino inesperto la mia anima
Segua giocando con il bianco e l’azzurro!
Vittoria, vittoria dove sono stato vinto
Prima dell’amore e con l’amore
Per la passiflora e la mimosa
Vai, vai anche se mi sono perso
Solo, anche se il sole che tieni in braccio è un neonato
Solo, anche se sono io la patria in lutto
E la parola che ti affidai una foglia di alloro
Solo, il vento forte e solo, il ciottolo
Tutto tondo nello sbattere di palpebre degli oscuri fondali
Il pescatore che tirò su e di nuovo gettò indietro nel tempo il Paradiso!
VII
Nel Paradiso ho disegnato un’isola
A te uguale e una casa sul mare
Con un grande letto e una piccola porta
Ho gettato un’eco nelle acque profonde
Per guardarmi ogni mattina quando mi sveglio
Per vederti a metà passare nell’acqua
e a metà piangerti nel Paradiso.

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