3 marzo 2015

Dedicato a te, dall’altra parte - Janine Pommy Vega

fotogramma di "Scarface"
Dedicato a te, dall’altra parte - Janine Pommy Vega

Tu non puoi portare via questa mattina
di lillà, l’aria leggera tra i rami del salice
e ancora la sua vita nel piccolo cortile

mentre gioca col suo camioncino rosso
fino all’ora della nostra merenda
e il suo pacchettino di M&Ms fino all’ora di pranzo.

Tu non puoi portare via l’adolescente entusiasta
che balza giù per le scale incontro ai suoi amici
o la sua stanza in disordine con i calzini sparpagliati ovunque
e il tamburo che aspetta il suo ritorno in un angolo,
il suo amore per la musica e la magia, i trucchi con le carte
e la maschera di gomma da lupo, il suo blocco di appunti
vivo di scarabocchi e indovinelli,
il suo largo sorriso entusiasta mentre sta con Tito Puente
nell’Union City bar.

La tua stupida paura, hai sparato allo sconosciuto durante
la tua rapina maledetta al benzinaio, con la tua pistola spianata
come se fossi stato beccato ex coitus in una cabina telefonica
con le braghe calate e gli occhi ancora sbarrati.
L’orrendo fiore rosso sul suo collo, dove il sangue
scorreva: ucciso sul colpo.

E sei fortunato a non avermi incontrata allora
la rabbia selvaggia in me ti avrebbe fatto a pezzi, forte e alto
come sei, un arto per volta.
Ti avrei abbattuto al suolo e avrei strangolato la tua vita
via da te, l’avrei presa a te come tu l’hai presa a lui
sei fortunato che non mi hai trovata, tremante
di odio e vendetta.

I mesi sono passati. Hai portato via
il suo attimo futuro, ma non lui
il suo spirito ancora vive nel cuore del mio dolore.
Hai attraversato il mistero della vita di un altro
fermata dalle tue mani
e nessuno ti sarà vicino nel ring mentre combatti
con questo fatto.

Mi chiesero se volevo la pena di morte.
Mi ridarà mio figlio?
Non ammorbidite la verità, dico,
di aver gettato via, sulla faccia del cielo
la sua vita preziosa, come fosse un pensiero secondario.

Non fermate la crescita della consapevolezza
in te, dico, fino a quando raggiungerai il luogo del possesso
di ciò che hai fatto, e avvertirai il peso insopportabile di ciò
sulla tua anima, come un’incudine di ferro.

Ucciderti fermerebbe tutto questo. Renderebbe gli altri
responsabili della tua giustizia, mentre essa
viene dal di dentro, più tremenda e intima di un giudice
senza volto e del freddo artificio dell’esecuzione.

Che tu possa vivere, dico, per tutto il tempo che ti occorre per possedere
la coscienza di ciò che hai fatto, che la freddezza possa trasformarsi in dolore,
e il dolore chiedere giustizia.
Che il giudice in te possa essere giusto, e lo spaventoso mistero
della tua sofferenza ti si dischiuda dentro.

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