Edson Canpos - Canto
Dell'inferno e del cielo – Jorge
Luis Borges
All'inferno di Dio non serve il fuoco
e il suo splendore. Quando suoneranno
le trombe del Giudizio Universale,
quando si squarcerà la terra e i popoli
risorgeranno dalla loro polvere
ubbidienti alla Bocca inappellabile,
gli occhi non vedranno i nove cerchi
della montagna inversa, né la pallida
distesa di asfodeli incorruttibili
dove rincorre l'ombra dell'arciere
eternamente l'ombra del cerbiatto,
né la lupa di fuoco che nel grado
più basso degli inferni musulmani
è interiore ad Adamo e ai castighi,
né i violenti metalli né la tenebra
visibile di Milton. Non sarà
un labirinto odiato di straziante
fuoco o di triplice ferro a punire
le sbalordite anime dei reprobi.
E né ha in serbo la fine degli anni
un remoto giardino. A Dio non servono
per allietare i meriti del giusto
sfere di luce, teorie concentriche
di troni, potestà e cherubini,
né lo specchio illusorio della musica
né i profondi recessi della rosa
né il funesto splendore d'una sola
delle Sue tigri, né il soave giallo
del sole che tramonta nel deserto
né il gusto antico, nativo dell'acqua.
Non ha giardini o luce di speranza
o di memoria la pietà di Dio.
Nel cristallo di un sogno ho indovinato
l'Inferno e il Cielo che ci son promessi:
quando le ultime trombe suoneranno
il Giudizio e il pianeta millenario
sarà annientato e brusche crolleranno,
o Tempo, le tue effimere piramidi,
i colori e le linee del passato
disegneranno un volto nella tenebra,
dormiente, inalterabile, fedele
(quello della tua amata forse o il tuo)
e la contemplazione di quel volto
immediato, incessante, incorruttibile,
puro, sarà per i reprobi Inferno,
sarà per i prescelti Paradiso.
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