Felice Casorati - Concerto (1924)
da “La pensione Eva” -
Andrea Camilleri
(…)
Mentre riacchianavano
la scala, Grazia disse: «In questi ultimi tre giorni, tra marinai, soldati
italiani e tedeschi e gente del posto, non ho avuto nemmeno il tempo di
respirare.»
Tornati al primo
piano, Grazia non raprì la porta per andare al secondo, ma si voltò a taliare a
Nenè.
«Vuoi?»
Nenè si sentì
arrussicare, non se l’aspittava.
«Se… se lo vuoi tu.»
Lei lo pigliò per la
mano, se lo tirò appresso.
«Non andiamo nella
tua camera?»
«No, nella mia camera
no. Mi parrebbe…»
Raprì l’ultima porta
del corridoio, lo fece trasire.
«Questa non viene
usata mai. Serve per qualche emergenza.»
Abbrazzò a Nenè
stritto stritto. Doppo tanticchia spiò:
«Ti posso baciare in
bocca?»
Pirchì gli spiava il
primisso?
«Sì, certo.»
Mai era stato vasato
in quel modo. Dintra alla sua vucca la lingua di Grazia esplorò, liccò,
assapurò, gustò. Gli firriò la testa. Mentre il suo sangue dabbascio s’arrisbigliava
di colpo e pigliava a tuppiare per nesciri fora, gli principiò una specie di
trimolizzo che la picciotta avvertì.
«Ma tu sei mai stato
prima con una donna?»
«Una volta sola.»
«Sei emozionato?»
«Sì.»
«Anch’io» disse
Grazia. «Che strano. Senti.»
Si portò la mano di
Nenè al cuore, per fargli sentire quanto batteva forte. Nenè non sapeva che
sarebbe stata la prima e l’ultima volta che lo faceva alla Pensione Eva. Per la
verità ce ne fu macari una seconda, ma non addipinnì dalla sua volontà.
Pirchì dù mesi
appresso Nenè conobbe una picciotta più grande che studiava al terzo anno
dell’università e che di nome faceva Giovanna. L’avevano chiamata dal suo paisi
a dare lezioni di latino al liceo di Montelusa, datosi che i professori fagliavano,
erano squasi tutti a fare la guerra. Ma non era professoressa di Nenè, insegnava
in un’altra classe. Nenè, per stare la sira con lei, che aveva un quartino indove
viveva sula, disse a sua matre che viaggiare con la corriera era diventato troppo
pericoloso, la mitragliavano in continuazione. La meglio sarebbe stato abitare
a Montelusa fino alla fine della scola. Sua matre gli trovò una càmmara presso
una lontana parente.
Ma Nenè continuò,
ogni lunedì sera, ad andare alla Pensione Eva con Ciccio e Jacolino. E lo
faceva, macari se non gli interessava più sperare in qualichi occasione
fortunata, pirchì il racconto che gli aveva fatto Emanuela gli aveva permesso
di capire che le storie che quelle picciotte potevano contare gli avrebbero
permesso di capire. Capire qualichi cosa di lu munnu, di la vita. Aveva la
possibilità di conoscere sei picciotte diverse ogni quindici jorni e parlare
con loro e ascutarle mentre parlavano. Si era fatto definitivamente capace,
“con una soddisfazione da botanico, che non era possibile trovare altrove
riunite specie più rare di quelle di quei giovani fiori” (ma queste parole di
Proust le avrebbe liggiute tanti e tanti anni appresso).
(…)
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