20 agosto 2018

da “La pensione Eva” - Andrea Camilleri

Fernando Botero - La Maison De Raquel Vega 
da “La pensione Eva” - Andrea Camilleri
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E che dire di quello che capitò in quel lunedì che la Signura Flora non fu presente a tavola pirchì approfittò del jorno di libertà per andare a trovare a Palermo una sua soro che era malata seria?
In quel lunedì, che po’ fu ricordato come “la serata epica” o “la serata delle metamorfosi”, vennero a combaciare, ad appattarsi, almeno tri felici e casuali combinazioni.
La prima fu che Jacolino, che non si capiva come arrinisciva di tanto in tanto a presentarsi con roba dei tidischi (o si capiva benissimo dato che suo patre coi tidischi c’intrallazzava), s’arricampò quella sera alla Pensione Eva con dù bottiglie di un liquore virdastro, impossibile capire come si chiamava, che quando se ne beveva una sula stizza pareva foco nel cannarozzo. Questo liquore, ammiscato col vino ad alta gradazione, fu capace di provocare una ‘mbriacatura totale, persa, di quelle che passano tri jorni doppo.
La secunda fu che Nenè aveva appresso l’Orlando furioso che gli aveva restituito un amico incontrato tanticchia prima di andare alla Pensione.
La terza fu la composizione, piuttosto stramma, della nova quindicina. Infatti, delle sei picciotte arrivate la sera avanti, cinco parivano fabbricate con lo stampino. E il bello è che parlavano lo stisso ‘ntifico dialetto. Erano tutte tracagnotte, minnute e di natiche grosse, squasi certo che erano state viddrane abituate alle faticate di campagna. Spesso parlavano vastaso (in genere, le picciotte parlavano accussì sulo davanti ai clienti) ed erano capaci della qualunque senza affruntarsi, senza vrigognarsi. La sesta invece faceva cezzioni, era alta e rossa di pelo e capelli, biddricchia, piuttosto riservata.
Quando ‘sta picciotta, nome d’arte Giusi, vide il libro che Nenè aveva posato supra il tanger, lo andò a taliare.
«Ah, l‘Orlando furioso!» disse.
Nenè fu pigliato di curiosità.
«Lo conosci?»
«Sì. Me ne hanno fatto leggere qualcosa a scuola.»
«Che scuola hai fatto?»
«Sono arrivata alla seconda liceo.»
Ma si vedeva che non aveva gana di parlare delle cose sue, e Nenè lassò perdere.
Mangiando, ma soprattutto bevendo, le voci si isarono di tono, le risate si fecero più avute. Una delle picciotte contò una storia che le era capitata in un casino piemontese.
La prima sera che arrivò, disse, aveva notato a uno che subito appena la vide non le levò più l’occhi d’incoddro. La taliava e la taliava, ma non si faceva avanti, non la sceglieva. Lei andava con un cliente, tornava e quell’omo sempre lì, assittato a taliarla. La sera appresso capitò la stissa cosa e macari la sera doppo.
Sulo all’ultima sera della quindicina l’omo si susì, le fece ‘nzinga e andò in càmmara con lei. La picciotta, tra curiosa e scantata, si disponeva già a un assalto violento quando l’omo, mutànghero, fattala assittare supra il letto, s’agginocchiò vistuto com’era, le posò la testa supra le gambe e restò accussì, senza parlare, senza cataminarsi. Doppo un quarto d’ora che stava agginucchiato e a lei le erano venute le formicole, l’omo infilò una mano ‘n sacchetta, cavò una caramella, la scartò a lento, se la mise dintra la vucca, doppo la tirò fora, la taliò e l’infilò nella vucca della picciotta.
«Non masticarla» le raccomandò.
Doppo tanticchia l’omo disse:
«Ridammela.»
La pigliò e se l’infilò nuovamente nella vucca. E accussì, ‘na vota tu e ‘na vota io, la caramella finì.
«È stato bellissimo, grazie» disse l’omo.
E andò a pagare la mezzora.
Tutti risero.
(…)

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