Agrigento - Valle dei templi - Igor Mitoraj, bronzo
da “il manifesto” del
23 agosto 2018
Riforme
L’assalto alla democrazia parlamentare
La strategia che
Giorgietti ha delineato è in realtà ormai trasversale a molte forze politiche.
È stato l’obiettivo di Renzi, lo è di Macron come della governance europea
LUCIANACASTELLINA
Sotterrati anche noi,
per fortuna solo psicologicamente, dalle macerie di ponti e fanghi; allibiti per
le dimensioni della superficialità, se non della corruttela, che presiede e ha
presieduto l’azione dello Stato; inorriditi dalle immagini dei 177 migranti stipati
nella Diciotti senza poter sbarcare sul molo distante un metro; addolorati e
infuriati per la valanga di morti sul lavoro, si è finito per non dare il
rilievo dovuto alle parole del sottosegretario Giorgetti, l’altro giorno a
Rimini. Neppure il suo interlocutore - Del Rio - sembra aver inteso la gravità
delle sue affermazioni, cui non pare abbia reagito (o, peggio, non le ha
ritenute gravi).
GIORGETTI ha infatti
rotto il velo delle ipocrisie e gli va riconosciuto il coraggio di aver
finalmente reso esplicito quello che da tempo è il vero disegno dell’establishment
internazionale, che quell’ipotesi ha del resto già posta in atto in non poche
parti del mondo: dichiarare obsoleta, in tempi di globalizzazione, la
democrazia rappresentativa - troppo lenta, incapace di decidere, fonte di una
quantità di inutili chiacchiere - e dunque della necessità di procedere spediti
ad una ulteriore concentrazione del potere decisionale nelle mani dell’esecutivo.
Ho detto «disegno
dell’establishment», e non della Lega o dei 5 Stelle, perché la strategia
che Giorgetti ha
delineato senza ricorrere a mezze parole, è in realtà ormai trasversale a molte
forze politiche che sono, o sono state al governo, anche se in ogni paese, e
per ogni gruppo politico, viene espressa in modi diversi.
Voglio dire che
questo obiettivo - abolire o marginalizzare o comunque stravolgere i parlamenti
- è stato - e ovviamente continua ad essere - anche quello di Renzi (la
sostanza della sua confusa riforma costituzionale sottoposta a referendum era
questa, come risulta dalle dichiarazioni sue e della Boschi che l’hanno
accompagnata). Così come è già pratica di Macron.
Quanto all’Ue, da
anni oramai la sovranità popolare è stata sostituita dalla “governance”, e cioè
da un modo di assumere decisioni che è sempre più simile a quello dei Consigli
di amministrazione di banche ed imprese, e buna pace per la sovranità popolare.
ABOLIRE IL PARLAMENTO,
o per lo meno svuotarlo di potere, è parola d’ordine ormai popolare, e in
qualche modo, bisogna riconoscerlo, persino apparentemente ragionevole: perché
senza più partiti veri - vale a dire corpi intermedi capaci di collegare la
partecipazione popolare alle istituzioni - questo organismo essenziale della
democrazia ha già largamente perduto di senso. Non può svolgere quella
difficile ma essenziale funzione di ricerca delle mediazioni necessarie, non “inciuci”,
ma possibile traguardo di un conflitto sociale che misura di volta in volta i
rapporti di forza reali che in quel momento si sono registrati. Un’operazione
che ovviamente è praticabile solo se a determinare, e a valutare, il risultato
partecipano realmente e consapevolmente cittadini che hanno votato le
rispettive rappresentanze parlamentari e che con queste hanno mantenuto un
rapporto costante. A questo servono i partiti, oltreché a conferire al confronto
il profilo di una visione
del mondo. Basta
leggere i resoconti dell’attuale dibattito parlamentare per rendersi conto
quanto lontani siamo da questa caratteristica: grida, insulti, propaganda.
L’elezione diretta
dei deputati - come accenna Giorgetti – non solo non risolverebbe il problema, ma
lo aggraverebbe: perché parcellizza la rappresentanza parlamentare, rendendone protagonisti
anziché quegli essenziali che sono i partiti, individui che rispondono agli
interessi di un territorio falsamente ritenuto omogeno, come era quando, a
votare, nella vecchia Inghilterra, erano solo i proprietari terrieri.
CHE IL MODELLO di
democrazia rappresentativa che ha garantito bene o male la nostra esistenza dal
dopoguerra vada adeguato ai tempi è indiscutibile. Ma si tratta di vedere in
quale direzione, se accrescendo le possibilità di partecipazione e controllo
oppure riducendola. Un tema, questo, reso drammatico dal fatto che già oggi i
parlamenti sono stati largamente svuotati del loro potere decisionale, silenziosamente“privatizzato:
già oggi molte delle decisioni che hanno conseguenze fondamentali sulla nostra
vita vengono assunte in virtù di accordi privati fra grandi gruppi finanziari o
commerciali che operano a livello globale.
Si tratta dunque di
individuare le forme adeguate a recuperare un controllo democratico già largamente
perduto. L’altra ipotesi, quella avanzata da chi con la scusa di procedere più
in fretta vorrebbe concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo, ha peraltro
bisogno dell’uomo forte che lo rappresenti, qualcuno capace di ottenere fiducia
in bianco ( ricordate “non parlare al conducente”?). Apre dunque le porte al
leaderismo, il peggio - io credo - per la democrazia, purtroppo un’immagine che
seduce in tutt’Europa anche qualche frangia di estrema sinistra. Per l’immediato,
in Italia, apre la strada, forse non dico a Salvini (troppi selfies per durare),
ma certo a qualcuno che con un po’ più di stile gridi altrettanto e proclami certezze.
Di modelli ce ne sono molti in giro.
Dovremmo prestare
attenzione a questa tendenza trasversale. È la più pericolosa, perché senza la
democrazia non c’è spazio per la politica e senza la politica la sinistra è morta.
Credo anzi che questa sia fra le più importanti discriminanti atte a indicare
chi sia oggi di destra e chi di sinistra, una distinzione che appare ogni
giorno più confusa.
Luciana Castellina
“il manifesto”
23/08/2018
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