27 febbraio 2019

da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Arm of sofà - Domenico Gnoli 
da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Salirono ancora: si udiva per la scala bianca, vuota, e illuminata, la musica del grammofono risuonare lontana e fragorosa; nelle pause silenzio completo. S'indovinava allora il salotto piccolo, i ballerini fermi in piedi sotto il lampadario acceso, le risa, il movimento e negli angoli, presso le finestre, dietro le tende, i complimenti ingenui... Al secondo pianerottolo entrarono.
Nel vestibolo, Leo si tolse il cappello e il pastrano e aiutò Carla a liberarsi dell'impermeabile. Il vestibolo era vasto e bianco, tre usci vi si aprivano, in faccia alla porta vi era una gran finestra buia e rettangolare che senza alcun dubbio doveva guardare verso una corte interna.
Passarono nel salotto: "Mettiamoci qui" disse Leo additando un gran divano di pelle pieno di cuscini. Sedettero: una lampada dal paralume rosso posata sopra un tavolino li illuminava fino al petto, le loro teste e il resto della stanza restavano nella penombra. Per un istante stettero immobili e non parlarono: Carla si guardava intorno senza curiosità; i suoi occhi si posavano ora su quella bottiglia di liquore là sul tavolino ora sulle pareti, come chi piuttosto che osservare aspetta con ansietà una parola oppure un gesto; Leo ammirava Carla:
"Ebbene, mia cara," incominciò quest'ultimo finalmente, "cos'hai che non parli e neppure mi guardi? Su, animo, dimmi quel che pensi, e se desideri qualche cosa non far complimenti, domanda quel che vuoi, fa' come se tu fossi in casa tua. Tese la mano, accarezzò con le dita il volto serio della fanciulla: "Non ti dispiacerà mica" soggiunse senza ombra d'imbarazzo "d'esser venuta?"

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