22 febbraio 2019

da “Il racconto dell’ancella” – Margaret Atwood

dipinto di Antonio Rosin
da “Il racconto dell’ancella” – Margaret Atwood

Il tappeto svolta giù per la scala principale e io lo seguo, appoggiandomi al corrimano, un tempo albero, tornito in un altro secolo, reso lucido e scuro da tutte le mani che lo hanno strofinato. La casa è tardovittoriana, un e-dificio costruito per una famiglia ricca e numerosa. Nel corridoio c'è un orologio a pendolo che, parco, amministra il tempo; poi la porta che im-mette nel salotto materno sul davanti della casa, con le sue sfumature color della carne e il suo fascino ambiguo. Un salotto dove non siedo mai, vi sto solo in piedi o inginocchiata. All'estremità del corridoio, sopra la porta d'ingresso, c'è una lunetta di vetro colorato: fiori, rossi e blu.
Resta uno specchio, sulla parete del corridoio. Se giro la testa, così che le bianche alette che m'incorniciano il volto dirigano il mio sguardo da quella parte, lo vedo mentre scendo le scale, tondo, convesso, uno spec-chio che è come l'occhio di un pesce, e con dentro me, un'ombra deforma-ta, una parodia di qualcosa, una figura da fiaba in un mantello rosso, che si avvia verso un momento di noncuranza che è identica al pericolo. Una suo-ra inzuppata nel sangue.

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