27 febbraio 2019

da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Alfredo Protti, Sonnellino, 1931
da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia
Cercò con uno scrupolo puerile anche nei posti assurdi: nel paniere dei ricami, nella scatola della cipria... Non trovò nulla; sedette stupita e fiacca: che specie di scrittura era quella che scompariva
appena letta? La stessa favolosa irrealtà dei sogni metteva tra i suoi ricordi quell'impalpabile atmosfera che di certe parole e di certi atti rapidi e straordinari fa poi pensare: "Sono avvenuti oppure me li sono immaginati, sognati, fabbricati io?" Quella stretta di mano, quel pezzo di carta avevano interrotto per un solo istante difficilmente riconoscibile la continuità dell'abitudine; poi, tutto era tornato come prima; ora, nella sua confusione, Carla avrebbe voluto rivedere quella scrittura di Leo! quel che le mancava non era il ricordo seppure vago di aver ricevuto il biglietto, ma la conoscenza certa e nitida di quel che conteneva; ella l'aveva toccato, l'aveva visto e letto ma non aveva avuto il tempo di convincersene; ora ne dubitava.
E che cosa c'era scritto? proprio un'ora o più o meno? questa o la prossima notte? e non era ormai troppo tardi? e non pioveva troppo? e non sarebbe stato meglio coricarsi, dormire per ricominciare il giorno dopo la solita vita? Seduta, immobile, curva, il tempo la sorpassava; le pareva, a forza di dubbi, di spegnersi con le proprie mani, di suicidarsi.
Trasalì ai colpi acuti dell'orologio che suonava la mezzanotte; ebbe il primo pensiero pratico: "Andrò: se non ci sarà vuol dire che avrò sognato." Guardò il quadrante, calcolò che Leo doveva aspettarla già da un quarto d'ora; allora l'invase una fretta assurda: corse alla finestra, incollò il volto contro i vetri neri; per vedere se piovesse ancora: ascoltò, guardò: nulla; la notte non voleva rivelarsi e alle sue spalle la stanza con una fatalità ironica le opponeva le sue bianche illusioni e l'indifferente luce della lampada. "Pioggia o non pioggia" pensò in furia, "mettiamoci l'impermeabile." Corse all'armadio, ne trasse l'incerato, lo indossò davanti allo specchio; poi si curvò, strinse le giarrettiere allentate; volle anche incipriarsi, passarsi un po' di rossetto sulle labbra, pettinarsi; si mise un cappello qualsiasi, male, sulla nuca: "come le ragazze americane" pensò vedendo la fronte rotonda e dei riccioli scappar fuori dalla falda stretta. Cercò, cercò:
"Quei maledetti guanti!" Non pensava più, viveva: una fretta meccanica aveva abolito in lei ogni umanità. Corse all'orologio con quella stessa frivola furia che tra i capelli, le calze, e i gesti delle sue braccia nude, preparandosi per qualche visita, le faceva gridare alla cameriera: "facciamo presto... è tardi... è tardi..." Lo guardò: "Già dieci minuti passati" pensò: " presto... presto." Aprì la porta e d'improvviso, trattenendo artificiosamente il suo impeto, uscì in punta di piedi nel
corridoio.

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