18 maggio 2020

III. Donne dannate - Charles Baudelaire Delfina e Ippolita

Egon Schiele - Two Girls on a Fringed Blanket
III. Donne dannate - Charles Baudelaire
Delfina e Ippolita

Al pallido chiarore di lampade languenti,
su profondi cuscini impregnati di profumi,
Ippolita pensava alle carezze forti
che aprivano il velo del suo giovane candore.

Con occhio turbato di tempesta,
cercava il cielo ormai lontano dell’ingenuità,
come un viaggiatore che volga lo sguardo
agli orizzonti azzurri varcati nel mattino.

Le pigre lacrime degli occhi smorti,
l’aria stanca, lo stupore, la cupa voluttà,
le braccia vinte, abbandonate come armi vane,
tutto serviva, tutto ornava la fragile bellezza.

Stesa ai suoi piedi, calma e piena di gioia,
Delfina con occhi ardenti la covava,
come una belva che sorvegli la sua preda
dopo averla segnata con i denti. 16
Quella superba forte bellezza, in ginocchio
davanti alla fragile bellezza, con che voluttà
gustava il vino del trionfo e tesa su di lei
sembrava raccogliere un dolce ringraziamento!

Cercava nell’occhio della sua pallida vittima
il muto canto che evoca il piacere
e quella gratitudine sublime ed infinita
che esce come un lungo sospiro dalla palpebra.

- «Ippolita, cuore mio, che dici di certe cose?
Ora comprendi che non devi offrire
il sacro olocausto delle tue prime rose
ai violenti soffi che potrebbero avvizzirle?

I miei baci sono lievi come quelle efemere
che sfiorano a sera i grandi laghi trasparenti,
ma quelli del tuo amante scaveranno solchi
come carri ο vomeri strazianti;

passeranno su di te come un pesante tiro
di cavalli ο buoi dagli zoccoli spietati…
Ippolita, sorella, tu, mia anima e mio cuore,
mio tutto e mia metà, guardami, ti prego,

guardami con i tuoi occhi pieni d’azzurro e stelle!
Per un tuo sguardo d’incanto, balsamo divino,
alzerò i veli dei più oscuri piaceri
e t’addormenterò in un sogno senza fine!»

Ma Ippolita allora, alzando la giovane testa:
- «Non sono affatto ingrata e non mi pento,
mia Delfina: soffro e sono inquieta
come dopo un notturno terribile festino.

Mi precipitano addosso gravi spaventi
e neri battaglioni di fantasmi sparsi
che vogliono portarmi per strade scoscese
chiuse ovunque da un orizzonte sanguinante.

Che cosa di tanto strano abbiamo fatto?
Spiegami, se puoi, il terrore e il turbamento;
che brividi di paura quando dici: “Angelo mio!”
eppure come vanno verso di te queste mie labbra!

E non guardarmi così, pensiero mio!
Tu sorella d’elezione, tu che amerò sempre
anche se sei un’insidia per me tesa
e principio di mia perdizione!»

Delfina, scrollando la tragica chioma
e come agitandosi sul tripode di ferro,
con sguardo fatale e voce dispotica rispose:
- «Chi davanti all’amore osa parlare dell’inferno?

Maledetto per sempre il sognatore inutile
tutto preso da un problema sterile e insolubile,
che volle per primo, nella sua stupidità,
mischiare alle cose d’amore l’onestà!

Chi vuole unire in mistico accordo
ombra e calore, notte e giorno,
non scalderà mai il suo corpo paralitico
al rosso sole che si chiama amore!

Vuoi uno sciocco fidanzato? Va’ pure, corri,
offri il tuo vergine cuore ai suoi baci crudeli!
Vedrai poi con che seno tutto stimmate ritornerai,
llividita, piena d’orrore e di rimorsi…!

Quaggiù puoi far contento un padrone solo!».
Ma la fanciulla, nello sfogo d’un dolore immenso
gridò a un tratto: «Che abisso si spalanca
in me! - l’abisso del mio cuore

che brucia, come un vulcano, profondo come il vuoto!
Nulla sazierà mai questo mostro in lacrime
e nulla smorzerà la sete dell’Eumenide
che lo brucia fino al sangue con la torcia in mano!

Le tende abbassate ci separino dal mondo
e porti il riposo la stanchezza!
M’annienterò nel tuo seno profondo!
Troverò sul tuo petto il fresco d’una tomba!»

- Vittime in lamento, calate giù,
calate lungo il sentiero dell’eterno inferno!
Sprofondatevi nel più profondo abisso,
con tutti i crimini sbattuti da un vento non celeste

che ribollono alla rinfusa con rombo d’uragano!
Ombre folli, correte al fine dei vostri desideri!
Quando mai la vostra rabbia sarà sazia?
Dai vostri piaceri nascerà la vostra pena!

Mai un fresco raggio illuminò le vostre grotte:
miasmi febbrili filtrano dai muri,
per le fessure, e s’accendono come lanterne
penetrando nel vostro corpo con profumi orrendi!

La sterilità aspra della vostra gioia
esaspera la sete e fa rigida la pelle;
il vento furioso della concupiscenza
fa schioccare la carne come vecchia bandiera!

Lontano da chi è vivo, dannate senza pace!
Via per deserti, come lupi!
Con il vostro destino, anime sfrenate,
fuggite l’infinito che sta dentro di voi!

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