24 maggio 2020

XCI. Le vecchiette - Charles Baudelaire

dipinto di George Underwood
XCI. Le vecchiette - Charles Baudelaire

                                        A Victor Hugo

I.
Tra le pieghe sinuose d’antiche capitali,
dove tutto ha un suo incanto, anche l’orrore,
obbedendo a fatali umori, spio
esseri strani, cadenti e affascinanti.

Che mostri sgangherati! Eponima! Laide!
Un tempo erano donne questi mostri rotti,
gobbi ο contorti! Amiamoli! Sono ancora anime!
Arrancano sotto gonne lacere ο tessuti

freddi, flagellati dagli iniqui venti,
e fremono al frastuono degli omnibus in corsa,
stringendo al fianco, come una reliquia,
una borsetta ricamata a figure ο fiori;

trotterellano come marionette;
si trascinano come bestie ferite,
ο ballano, senza volerlo, povere campanelle
a cui s’attacca un Demone spietato! A pezzi,

pure hanno occhi penetranti come un trapano,
lucenti come le crepe in cui a notte dorme l’acqua,
occhi divini come quelli della fanciulla
che si stupisce e ride per tutto ciò che brilla.

- Avete notato che molte bare di vecchie
sono piccole quasi come quella d’un fanciullo?
Ma è il simbolo d’un gusto bizzarro e seducente
che la saggia Morte mette in bare così simili!

Infatti quando vedo un debole fantasma
attraversare il quadro brulicante di Parigi,
mi sembra sempre che quel fragile essere
se ne vada piano piano verso una nuova culla.

A volte invece medito sulla geometria
e mi chiedo, alla vista di quelle discordi membra,
quante volte bisognerà che l’operaio cambi
la forma della scatola dove questi corpi sono messi.

- Che pozzi di lacrime a milioni quegli occhi!
Che crogiolo tutto luccichii di metallo raffreddato…
Che fascino invincibile quegli occhi misteriosi
per chi allattò la Sventura austera!

II.
Vestale innamorata del defunto Frascati!
Sacerdotessa di Talia, il cui nome conosce
solo un suggeritore ormai sepolto! Celebre vanesia
che il Tivoli un tempo ombreggiò quand’era in fiore!

Come m’inebriate! Ma tra questi esseri fragili
c’è chi mutò il dolore in miele
e disse alla Dedizione che gli offriva le sue ali:
Potente Ippogrifo, portami fino al cielo!

Una fu addestrata dalla sua patria alla disgrazia,
un’altra fu oppressa di dolori dal suo sposo,
un’altra fu Madonna trafitta da suo figlio:
avrebbero formato un fiume tante lacrime!

III.
Ne ho seguite tante di vecchiette!
Una di loro, nell’ora in cui il sole tramontando
insanguina il cielo di vermiglie ferite,
si sedeva pensierosa in disparte su una panchina

e ascoltava uno di quei concerti, tutto ottoni,
con cui a volte i soldati c’inondano i giardini
e riversano un po’ d’eroismo nel cuore dei cittadini,
quelle sere in cui ci si sente rivivere.

Quella, ancora dritta, fiera, seguendo il ritmo,
aspirava avidamente quel canto vivo e guerriero;
a volte apriva l’occhio come una vecchia aquila
e la fronte di marmo sembrava fatta per l’alloro!

IV.
Così, voi camminate, stoiche e senza lamenti,
attraverso il caos delle città viventi,
madri dal cuore sanguinante, cortigiane ο sante;
il vostro nome un tempo era in bocca a tutti!

Ma ora nessuno riconosce voi che foste
grazia ο gloria! Un ubriaco villano
vi schernisce con lusinghe d’amore;
un vile ragazzaccio vi sgambetta alle calcagna.

Vergognose d’esistere, ombre raggrinzite,
paurose, come rasentate i muri a dorso chino!
Nessuno vi saluta, strani destini,
rottami umani maturi per l’eternità!

Ma io, io che da lontano teneramente vi sorveglio,
con l’occhio inquieto, fisso sui vostri passi incerti,
come se fossi vostro padre, che meraviglia!
Come assaporo a vostra insaputa piaceri clandestini!

Come vedo sbocciare le vostre passioni novizie!
Come vivo i vostri perduti giorni cupi ο luminosi!
Come gode il mio cuore moltiplicato di tutti i vostri vizi!
Come risplende la mia anima di tutte le vostre virtù!

Ruderi! Famiglia mia! Congeneri cervelli!
Vi do tutte le sere un solenne addio!
E dove sarete mai domani, Eve ottuagenarie,
sulle quali incombe l’artiglio terribile di Dio?

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