10 agosto 2018

Africa – Heleno Oliveria

dipinto di Victoria Stoyanova
Africa – Heleno Oliveria

Ah se potessi starmene
zitto zitto nel seno dell'Africa
Ah, se io potessi
camminare nelle savane
penetrare le foreste
scalare le montagne
sentire il vento dei suoi deserti
Ah se io potessi
inoltrarmi nelle sue notti
e rinascere ancor più nero
nero del nero della nera nerissima
giacché il figlio viene dalla Madre
nonostante il seme del Padre
Ah madre Africa
ti vedo bambina
rubata dal bianco Padre
senza affetto né premure
in quel mezzogiorno della tua storia
che popolò tutti i Popoli
tinse di nero il Mondo
per lo sfruttamento della tua schiavitù
docile e silenziosa
sotto le fruste e le ferite
prolungate nei secoli
e il Terrore
dei negrieri nel tempo
in cui solo il Mare conobbe le grida
senza eco dei soffocati dalle agonie
del nuovo enorme cimitero
denudato di divinità e di stelle
mentre, lì, per Te
Firenze fioriva e partoriva il fiorino
Portogallo e Spagna, con le benedizioni del Papa
dividevano il mondo in duelli d'amore
conquistavano Indie con croci e spade
che lasciavano la storia muta
il più cruento e implacabile metodo
di evangelizzazione
la cristianissima impresa
del traffico negriero
che solo l'abbandono del Verbo fatto Carne
ha potuto riscattare e consolare
Ahi, Africa (e il figlio scivola dal ventre anche se
il Padre irriga il corpo di rose sangue latte)
vivo e sono i tuoi dolori
la tua rassegnata mansuetudine
il tuo tam tam venduto a suon di dollari
dai Signori che ti hanno resa merce
avallata al lume del dogma
usarono e abusarono delle case padronali e catapecchie
concepirono l'architettura delle favelas
fosti la corona di spine che contorna le città
la meta delle armi confezionate su misura
imparasti dal Bianco la vertigine
dello strano insipido dio chiamato Consumo
nella tua diaspora e nel tuo stesso seno
la memoria crivellata quasi estinta
da me dal tuo Brasile strapparono le foglie
della vergogna per non piangere enumerare
morti malattie e lacrime
soltanto la tua intelligenza mitica
ha resistito e ti ha salvata nascosta
nei tombini angoli e terreiros
non hai voluto nazzareni dai capelli biondi
conoscevi la Trinità oltre a Hegel Marx e compagnia
attendi ancora tra le doglie
che venga il Santo Spirito…
inutile dire che il suono dei tamburi è spazio del Nemico
è un grido ai Tre perché venga il Regno
senza potenza esercito signori e schiavi
povero come Dio solo come Dio vicino come Dio
nero come Dio
Oggi voglio danzare
come danzavi prima del Bianco
senza paura di essere sensuale
e lascivo come pensano i Bianchi
senza temere di usare il corpo
nel ritmo nel rito nella melodia
che non ti dicono niente, Bianco,
dicono albero foglia vento sabbia
vedo volare nel mio gesto
leopardi falchi elefanti
aironi uccellini
questo è la danza

Non contorsioni per scongiurare i momenti
di tedio
è una benedizione per salutarlo
non prigione quotidiana in discoteche d'acciaio
è ascolto amoroso dei miti
di un tempo che nasce in me
diversamente muoio nella valle delle anime smarrite
la danza è festa
è il mio dialogo con te, madre amabile e nerissima
che ama secondo i riti della tribù
che pettina con grazia il capello crespo delle figlie
che lavora nel campo e parla con il suo dio
di tutto senza distanza e stranamente

il tuo silenzio mi interroga
non posso tacere è mio e mi fa male
madre Africa contemplo la puttana da due soldi
povera nera povero fiore nero senza INPS
giustizia e estetica della fame
il padrone bianco soddisfatto ti macchia
procrea nel tuo corpo serpenti
non vedo più lo stesso colore
la danza la risata la santa sensualità
ecco gli uomini della terra del Sud
incappucciati gridano negro è sporco negro è sporco
ALLONTANATEVI
e tu raccogli e metti insieme gli stracci dell'anima
in ballate blues e samba
nelle ninnananne dei bambini dell'America
cancella dolcemente la melanconia
della razza bianca che canta il jazz
senza dire Africa
non cancella la mansuetudine
eccessiva che attende molleggiando come se ancora fosse il tempo della libertà
quando il Nero ordinava il caos
e lasciava che il bianco illuminasse
senza odio e amore colonizzati
chissà certi giorni invocasti
gli dèi ammutoliti della guerra
per mezzo secolo Palmares è stato un segno
duro come Zumbi mio padre mio re mio fratello
Luanda rinacque con la stessa festa
una volta ancora il tuo sangue inquinato
ti ha venduta ai Lusitani, madre,
la testa di Zumbi in una piazza di Recife era la tua
le tue nozze con la libertà
sono solo una data nel calendario
i tuoi figli subiscono altra schiavitù
lo stipendio meno che minimo
la tentazione di diventare bianco
la parola black esportazione abusata
il nero è sempre sinonimo di bruttura
la resistenza che nessuno vide
eccomi a ripetere il colore dei neri è stato tollerato
il tuo olimpo cristianizzato a forza
il tuo Brasile non ti voleva e ti liberò
con la morte di seimila neri nella guerra del Paraguay
e oggi nelle cucine e bordelli, madre.
lascia che sorridano
lascia che invidino mulatte oba oba
e sfilate della scuola di samba
lascia che ballino come manici di scopa il reggae e Bob Marley
e si sentano eruditi con il pianto del tuo jazz
e prendano i tuoi tesori come presero gli schiavi
lascia che ti chiamino nerina neretta
con affettuosa falsità
vedrai la tua saggezza la tua pazienza
che tutto sopporta
persino i detti però è un nero con l'anima bianca
vedrai i due grandi e i loro satelliti
le mani ricolme di domande e domandarti la Parola
che abbandonarono
attenderai densa e eterna come il Congo
alta e serena come il Kilimanjaro
povera e affamata come i tuoi figli e figlie
desolata come la cultura che ti ha annichilita
nostalgica della pace del clan del tam tam
vedrai in una magica e cosmica preghiera
il Nero che viene lanciato sulla scena del mondo
brillante
diamante
uscito da Trinidade senza colore
senza nessun colore
tutta nera che ti rivela
attraverso i lampi
la danza i gesti i miti
ti illumina e racconta la tua saga
il tuo destino arcano
quasi simile al Verbo
che tutto innerato
dal calore e dal sole di Trinidade
ti bacia con il bacio della sua bocca
bacia figlie e figli
oppressi dimenticati
copre l'infelicità d'amore
interrompe il singhiozzo della terra
saravá

Traduzione di Cristiana Sassetti

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