5 agosto 2018

da “Leggere Lolita a Teheran” - Azar Nafisi

da “Leggere Lolita a Teheran” -  Azar Nafisi

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Due sere prima del cessate il fuoco nella guerra delle città, alcuni amici vennero a casa nostra per vedere Mogambo di John Ford. Adesso Forsati si presentava spesso con una cassetta. Un giorno mi aveva seguito in silenzio in ufficio per darmi in un pacchetto Big, con il suo adorato Tom Hanks. Da allora mi aveva portato diversi film americani di serie B, o anche C. Girava voce che gli integralisti se li procurassero dai marinai di servizio nel Golfo Persico, che potevano vedere film proibiti e spesso e volentieri li contrabbandavano a terra. Dopo un po’ cominciai a chiedergli qualche classico, come Jules e Jim e Tempi moderni, oppure Howard Hawks, John Ford, Bunuel, Fellini. Lui non li aveva mai sentiti nominare, e all’inizio ebbe difficoltà a trovarli, forse perché non erano fra i prediletti dai marinai. Ma un giorno si presentò con una copia di Mogambo. Disse che era un regalo.
Non avrebbe mai pensato di innamorarsi di un vecchio film, eppure era successo; e secondo lui sarebbe piaciuto anche a me.
Quella sera ci fu un blackout di parecchie ore. Restammo seduti a lume di candela a parlare e bere Visnovka, una vodka alla ciliegia fatta in casa, con il contrappunto di qualche lontana esplosione. La sera successiva arrivò l’annuncio che l’Iraq era pronto ad accettare un cessate il fuoco a condizione di poter lanciare l’ultimo missile. Come in una lite fra due ragazzini.
Il cessate il fuoco durò soltanto due giorni. Molte persone, sicure che avrebbe tenuto un po’ di più, erano già tornate a Teheran. I negozi restarono aperti fino a tardi e le strade erano piene di gente che faceva acquisti per l’ultimo dell’anno. Poche ore prima che l’Iraq rompesse il cessate il fuoco avevo scommesso con un amico sulla sua durata. Ormai puntavamo su qualsiasi cosa: su quanti missili sarebbero caduti sulla città, su dove sarebbero caduti e quando. Forse era un passatempo macabro, ma aiutava ad alleggerire la tensione.
Gli attacchi ripresero un lunedì, alle dieci e mezza di sera. Ora di martedì mattina, su Teheran erano già caduti sei missili. Molti di coloro che erano appena tornati ripartirono; l’improvviso silenzio calato sulla città era interrotto soltanto dalle marce militari che rimbombavano per le strade dagli altoparlanti delle moschee, degli uffici del governo, delle sedi del Comitato rivoluzionario e anche dalle case. A loro volta, le marce erano interrotte da «importanti annunci» di attacchi missilistici su Bagdad e nuove vittorie sul «nemico sionista-imperialista». Si presumeva che quei «trionfi della luce sulle tenebre», o anche il solo pensiero che gli iracheni non se la passavano meglio di noi, ci tirassero su il morale.
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