(…)
La lezione che mio
nipote imparò quel giorno era semplice. Fai pure pipì sulla testa di tuo padre,
sputa su tua madre, ma non mangiare quello.
E quello è l’argomento di questo libro, i cibi proibiti e il loro
significato, dalla cioccolata al foie gras, alle patatine fritte; dai tempi del
Paradiso terrestre ai giorni nostri. Quell’episodio mi fece capire quanto sono
profondi i nostri sentimenti riguardo al cibo. La vita, dopo tutto, è una lunga
sosta a tavola, perciò, quando decidiamo che un cibo è tabù, c’è di solito una
storia interessante da raccontare. La Bibbia fu la prima a usare il cibo
proibito per spiegare la natura umana, e da allora i nostri capi religiosi e
politici hanno sempre manipolato questo concetto con tanto fervore che esso ha
finito per dare sapore a tutte le emozioni che proviamo davanti a una tavola
imbandita. Oggi valutiamo un piatto in base al senso di colpa che suscita in
noi, almeno a giudicare dalle pubblicità che vediamo in giro, e se non è
abbastanza “peccaminoso”, lo troviamo di solito meno saporito.
È una situazione che
ha portato alla criminalizzazione di centinaia di piatti nel corso della
storia, e poiché vietiamo le cose in base al loro legame con un particolare
peccato, ho diviso questo libro in vari capitoli, corrispondenti, ognuno, ai famosi
sette vizi capitali: lussuria, gola, superbia, accidia, avarizia (avidità),
invidia (empietà) e ira. In ogni capitolo sono raccontate le storie di
manicaretti proibiti in quanto collegati a un vizio che la società in questione
trovava particolarmente riprovevole. Il primo capitolo parla della lussuria, in
onore dell’illecito bocconcino consumato da Eva, e degli approcci sessuali che
ne seguirono. Cibo e sesso sono una combinazione che dà alla testa, e il
venticinque per cento delle persone che perdono la capacità di gustare il cibo,
perdono anche la loro libido. Secondo Freud, tutti gli individui provano la
loro prima eccitazione, sessuale e culinaria, quando succhiano il latte dal seno
della madre. La nostra passione per gli afrodisiaci ha portato all’estinzione
di intere specie animali e alla caduta di imperi, prova ne sia il singolare
ruolo giocato dalla cioccolata ai tempi della Rivoluzione francese.
Il libro continua il
suo viaggio attraverso i vari peccati, toccando gli aspetti più vari. Da come,
per esempio, la prima immagine di Dio si rapporta a certi tabù esistenti in
Asia e nel
mondo occidentale, a
come le moderne multinazionali manipolano il nostro istinto d’aggressione
subliminale per rendere più allettante il loro cibo-spazzatura. Poiché le
persone che invitiamo a cena sono importanti quanto i cibi che serviamo, alcune
storie narrano come queste regole abbiano giocato un ruolo determinante in
eventi che hanno cambiato il mondo, quali per esempio la crocifissione di
Cristo. Le contese tra i vari “chef”, come quella che divise in due l’Europa
nel Medioevo, ne sono la prova evidente. Ci sono anche delle ricette. Il famoso
purè di patate di Joël Robuchon (p. 134) dovrebbe darvi il sapore della famosa
estasi accidiosa che nell’Ottocento spinse gli inglesi a proibire il tubero.
L’antico piatto romano di pagina 62 dà un’idea della decadenza dei costumi che
Cesare cercò di combattere, quando il vizio della tavola stava minacciando il
più grande impero del mondo.
Questi tabù
alimentari erano così importanti per i nostri avi che spesso preferivano morire
di fame piuttosto che infrangerli, e almeno metà della popolazione mondiale –
dagli indù che adorano le vacche sacre, agli ebrei con le loro regole kosher, fino
ai giovani occidentali imbevuti di dottrine vegetariane – vive ancora
osservando quotidianamente delle regole alimentari restrittive. Per molti,
queste regole sono fondamentali per definire la propria identità, in rapporto
sia alla religione sia ai propri simili, e in pratica modellano la società in
cui viviamo. Perfino nell’Occidente, dove i divieti veri e propri sono rari, i
tabù alimentari covano sotto la cenere.
Molti studiosi
ritengono che le malattie di origine psicologica, come l’anoressia, che conta
decine di migliaia di vittime l’anno, nascono in parte dalla complessa psicosi
sociale, retaggio delle antiche norme alimentari. E qualche volta, quando
ignoriamo queste norme, i risultati sono catastrofici; almeno una delle grandi
calamità del XXI secolo è direttamente collegata alla violazione di profondi
tabù legati alle attività cannibalesche.
Quello che mi ha
maggiormente colpito, mentre scrivevo questo libro, è il numero sorprendente di
persone che hanno combattuto, hanno ucciso e sono state uccise in nome del cibo
che veniva presentato a tavola. Queste leggi sui cibi proibiti danno alla
storia una prospettiva molteplice. Ci dicono molto circa la natura del piacere
e possono trasformare il nostro pranzo in una meditazione su quelli che sono i
rapporti tra le delizie e le sofferenze del palato, tra il sacro e il profano.
Ma
tornando alla prima mela...
(…)
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