dipinto di Felix Revello de Toro
da “Malte Laurids Brigge” – Rainer Maria Rilke
(…) Fu quando vedemmo per l’ultima volta Cristina Brahe.
Quella volta era comparsa a tavola anche la signorina Matilde, ma era diversa dal solito. Come nei primi giorni dopo il nostro arrivo parlava continuamente senza un filo preciso e confondendosi spesso; inoltre c’era in lei una specie di inquietudine fisica che la obbligava ad aggiustarsi tutti i momenti i capelli o il vestito – finché a un certo punto balzò in piedi con un grido di sgomento e scomparve. In quello stesso attimo i miei occhi si volsero involontariamente a quella certa porta: entrava Cristina Brahe. Il mio vicino, il maggiore, ebbe una brusca scossa che si trasmise al mio corpo, ma evidentemente egli non aveva più la forza di alzarsi. Il suo viso di vecchio, bruno e macchiato, si volgeva dall’uno all’altro, la bocca era aperta e la lingua batteva dietro i denti guasti; poi, di colpo, il viso sparì, rimase solo una testa grigia sulla tavola, le braccia abbandonate come in pezzi, e da qualche parte una mano flaccida e macchiata che tremava.
Allora entrò Cristina Brahe, passo passo, lenta come una malata, nel silenzio indescrivibile in cui tremava solo una nota, il guaito di un vecchio cane. E a sinistradel grande cigno d’argento pieno di narcisi si levò la grande maschera del vecchio col suo tetro sorriso. Levò il bicchiere verso mio padre. E vidi mio padre, proprio mentre Cristina Brahe passava dietro la sua sedia, afferrare il bicchiere e sollevarlo appena sopra la tavola come qualcosa che fosse molto pesante.
Quella stessa notte partimmo.
(…) Fu quando vedemmo per l’ultima volta Cristina Brahe.
Quella volta era comparsa a tavola anche la signorina Matilde, ma era diversa dal solito. Come nei primi giorni dopo il nostro arrivo parlava continuamente senza un filo preciso e confondendosi spesso; inoltre c’era in lei una specie di inquietudine fisica che la obbligava ad aggiustarsi tutti i momenti i capelli o il vestito – finché a un certo punto balzò in piedi con un grido di sgomento e scomparve. In quello stesso attimo i miei occhi si volsero involontariamente a quella certa porta: entrava Cristina Brahe. Il mio vicino, il maggiore, ebbe una brusca scossa che si trasmise al mio corpo, ma evidentemente egli non aveva più la forza di alzarsi. Il suo viso di vecchio, bruno e macchiato, si volgeva dall’uno all’altro, la bocca era aperta e la lingua batteva dietro i denti guasti; poi, di colpo, il viso sparì, rimase solo una testa grigia sulla tavola, le braccia abbandonate come in pezzi, e da qualche parte una mano flaccida e macchiata che tremava.
Allora entrò Cristina Brahe, passo passo, lenta come una malata, nel silenzio indescrivibile in cui tremava solo una nota, il guaito di un vecchio cane. E a sinistradel grande cigno d’argento pieno di narcisi si levò la grande maschera del vecchio col suo tetro sorriso. Levò il bicchiere verso mio padre. E vidi mio padre, proprio mentre Cristina Brahe passava dietro la sua sedia, afferrare il bicchiere e sollevarlo appena sopra la tavola come qualcosa che fosse molto pesante.
Quella stessa notte partimmo.
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