27 ottobre 2018

da "Il figlio Maschio" - Giuseppina Torregrossa

opera di Fabian Perez
da "Il figlio Maschio" - Giuseppina Torregrossa

«Mamma mia com’è tardi! È che Filippo questa notte non mi ha dato tregua.»
La cognata avvampò e lei sorrise divertita. “Basta nulla a metterla in difficoltà, è proprio una paesanotta” pensò. «Puoi stirarlo per favore?»
Quella afferrò l’abito e corse subito via. Sulla porta Luisa la richiamò:
«Scusa, noi torneremo questa sera dopo il teatro. Verranno a cena degli amici, mi raccomando».
La ragazza la guardò preoccupata, quel “mi raccomando” le suonò come un avvertimento.
«Apparecchia come ti ho insegnato io. Forchette a sinistra e coltelli a destra.»
“Destra mano gritta, sinistra mano manca” si ripeté Concettina.
«Non dimenticare le posate del pesce e della frutta. I cucchiaini poi: quelli piccolissimi sono per il caffè; più grandi e larghe le palettine del gelato. I tovaglioli piegati a triangolo sul piatto. La bottiglia storta per far decantare il vino, rosso naturalmente.»
Com’era mondana sua cognata! E Filippo, quello scimunito, le dava conto in tutto.
«E adesso corri! Anzi no, aspetta un attimo, voglio farti sentire una cosa.» Tolse il tappo a una piccola bottiglia di cristallo. «Odora, ti piace?»
L’altra ubbidì e si riempì il petto di quell’aroma sofisticato.
«Be’?»
«Boh…»
«Ambra, muschio, spezie…» suggerì la contessa. Ma che ne sapeva, povera Concettina, che nella sua vita aveva usato solo sapone e borotalco?
«Buonissimo» disse per tagliare corto e, senza che la contessa potesse aggiungere altro, corse in cucina a scaldare il ferro da stiro.
La bella moglie di Filippo Ciuni si lavò con cura e indossò la biancheria di seta con gesti calmi e studiati. Arrotolò le calze con delicatezza, infilò prima una e poi l’altra. Le sue mani si mossero dal basso verso l’alto afferrando le caviglie e risalendo lungo i polpacci e le ginocchia tonde, finché ogni piega che turbava l’armonia di quel tessuto impalpabile sparì. Agganciò il bordo al reggicalze, quindi infilò la testa dentro a una sottoveste di raso. La sentì scivolare lungo le spalle, i fianchi, le cosce. Afferrò una manciata di gelsomini, che sua cognata le lasciava sempre in una vaschetta sulla toletta, e distribuì i petali delicati nelle coppe del reggiseno. A contatto con la sua pelle calda, dopo pochi secondi, si sprigionò un profumo così intenso che lei per prima ne fu inebriata. Finì di vestirsi davanti allo specchio. «A posto» e si avviò.
Sulle scale incontrò il postino, che con un gesto cerimonioso le consegnò alcune lettere. Lei ringraziò e le chiuse nella borsetta, era troppo tardi per rientrare a casa.
In libreria trovò Fausto all’ingresso. Il giovane apprendista aprì la porta con un inchino e le baciò la mano. «Signora contessa…»
La donna sorrise. «Fausto, che galanteria.»
Il ragazzo sfoderò i suoi denti bianchi. Era giovane ma con le donne ci sapeva fare.
«Mio marito?»
«L’aspetta nel mezzanino.»
La contessa salì le scale con passo da attrice. Il suo busto dritto e affusolato era inchiodato ai fianchi, che invece oscillavano sui tacchi sottili.
Filippo sembrava preoccupato.
«Che hai?» gli domandò abbracciandolo come se non lo vedesse da mesi.
«Ecco, ho appena parlato con Croce per quei due saggi che vorrei pubblicare.»
«Questa sì che è una notizia.»
Lui però sembrava contrariato.
«Non sei contento? Quello è un filosofo importante.»
«Sì, ma sono un po’ indeciso. La sua posizione nei confronti del fascismo…»
«E che te ne importa?»
«Be’, ma io sono fascista.»
«E allora?»
«Non so, non mi sembra opportuno.»
«Senti, Filippo, se vuoi fare l’editore non devi stare a pensare a nulla. Ti piace quello che scrive Croce? E allora pubblicalo. Gli editori se ne fottono di queste cose.»
Lui la guardò con un’espressione dubbiosa.
«Tu pubblicalo, al resto ci penso io» gli disse con un tono tranquillizzante.
Aveva fatto bene a sposarla, quella donna sapeva sempre cosa fare. Era veloce a prendere delle decisioni, irremovibile nel mantenerle, capace di aspettare con la certezza che prima o poi avrebbe raggiunto i suoi obiettivi. Filippo le posò un leggero bacio sulle labbra. Ora potevano cominciare a lavorare. Luisa si sfilò i guanti, aprì la borsa per riporli e si accorse della posta che non aveva ancora aperto. Lesse l’indirizzo sulle buste.
«Guarda guarda, c’è una lettera per Concettina. Chissà chi le scrive…»

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