opera di Fabian Perez
da "Il figlio Maschio" - Giuseppina Torregrossa
«Mamma mia com’è
tardi! È che Filippo questa notte non mi ha dato tregua.»
La cognata avvampò e
lei sorrise divertita. “Basta nulla a metterla in difficoltà, è proprio una
paesanotta” pensò. «Puoi stirarlo per favore?»
Quella afferrò
l’abito e corse subito via. Sulla porta Luisa la richiamò:
«Scusa, noi torneremo
questa sera dopo il teatro. Verranno a cena degli amici, mi raccomando».
La ragazza la guardò
preoccupata, quel “mi raccomando” le suonò come un avvertimento.
«Apparecchia come ti
ho insegnato io. Forchette a sinistra e coltelli a destra.»
“Destra mano gritta,
sinistra mano manca” si ripeté Concettina.
«Non dimenticare le
posate del pesce e della frutta. I cucchiaini poi: quelli piccolissimi sono per
il caffè; più grandi e larghe le palettine del gelato. I tovaglioli piegati a
triangolo sul piatto. La bottiglia storta per far decantare il vino, rosso
naturalmente.»
Com’era mondana sua
cognata! E Filippo, quello scimunito, le dava conto in tutto.
«E adesso corri! Anzi
no, aspetta un attimo, voglio farti sentire una cosa.» Tolse il tappo a una piccola
bottiglia di cristallo. «Odora, ti piace?»
L’altra ubbidì e si
riempì il petto di quell’aroma sofisticato.
«Be’?»
«Boh…»
«Ambra, muschio,
spezie…» suggerì la contessa. Ma che ne sapeva, povera Concettina, che nella
sua vita aveva usato solo sapone e borotalco?
«Buonissimo» disse
per tagliare corto e, senza che la contessa potesse aggiungere altro, corse in
cucina a scaldare il ferro da stiro.
La bella moglie di
Filippo Ciuni si lavò con cura e indossò la biancheria di seta con gesti calmi
e studiati. Arrotolò le calze con delicatezza, infilò prima una e poi l’altra.
Le sue mani si mossero dal basso verso l’alto afferrando le caviglie e
risalendo lungo i polpacci e le ginocchia tonde, finché ogni piega che turbava
l’armonia di quel tessuto impalpabile sparì. Agganciò il bordo al reggicalze,
quindi infilò la testa dentro a una sottoveste di raso. La sentì scivolare
lungo le spalle, i fianchi, le cosce. Afferrò una manciata di gelsomini, che
sua cognata le lasciava sempre in una vaschetta sulla toletta, e distribuì i
petali delicati nelle coppe del reggiseno. A contatto con la sua pelle calda,
dopo pochi secondi, si sprigionò un profumo così intenso che lei per prima ne
fu inebriata. Finì di vestirsi davanti allo specchio. «A posto» e si avviò.
Sulle scale incontrò
il postino, che con un gesto cerimonioso le consegnò alcune lettere. Lei
ringraziò e le chiuse nella borsetta, era troppo tardi per rientrare a casa.
In libreria trovò
Fausto all’ingresso. Il giovane apprendista aprì la porta con un inchino e le
baciò la mano. «Signora contessa…»
La donna sorrise.
«Fausto, che galanteria.»
Il ragazzo sfoderò i
suoi denti bianchi. Era giovane ma con le donne ci sapeva fare.
«Mio marito?»
«L’aspetta nel
mezzanino.»
La contessa salì le
scale con passo da attrice. Il suo busto dritto e affusolato era inchiodato ai
fianchi, che invece oscillavano sui tacchi sottili.
Filippo sembrava
preoccupato.
«Che hai?» gli
domandò abbracciandolo come se non lo vedesse da mesi.
«Ecco, ho appena
parlato con Croce per quei due saggi che vorrei pubblicare.»
«Questa sì che è una
notizia.»
Lui però sembrava
contrariato.
«Non sei contento?
Quello è un filosofo importante.»
«Sì, ma sono un po’
indeciso. La sua posizione nei confronti del fascismo…»
«E che te ne
importa?»
«Be’, ma io sono fascista.»
«E allora?»
«Non so, non mi
sembra opportuno.»
«Senti, Filippo, se
vuoi fare l’editore non devi stare a pensare a nulla. Ti piace quello che
scrive Croce? E allora pubblicalo. Gli editori se ne fottono di queste cose.»
Lui la guardò con
un’espressione dubbiosa.
«Tu pubblicalo, al
resto ci penso io» gli disse con un tono tranquillizzante.
Aveva fatto bene a
sposarla, quella donna sapeva sempre cosa fare. Era veloce a prendere delle
decisioni, irremovibile nel mantenerle, capace di aspettare con la certezza che
prima o poi avrebbe raggiunto i suoi obiettivi. Filippo le posò un leggero
bacio sulle labbra. Ora potevano cominciare a lavorare. Luisa si sfilò i
guanti, aprì la borsa per riporli e si accorse della posta che non aveva ancora
aperto. Lesse l’indirizzo sulle buste.
«Guarda guarda, c’è
una lettera per Concettina. Chissà chi le scrive…»
Nessun commento:
Posta un commento