25 ottobre 2018

da Postmortem – Patricia Cornwell

da Postmortem – Patricia Cornwell

Io non sono mai stata particolarmente atletica e non avevo spiagge a distanza ragionevole. Ubriacarsi non ha mai risolto nulla. La cucina era un piacere per il quale non avevo quasi mai tempo e sebbene la cucina italiana non sia il mio unico amore è sempre stata quella che mi dà più soddisfazioni.
«Usa il lato della grattugia con i buchi piccoli» stavo dicendo a Lucy, cercando di vincere il rumore dell’acqua che scendeva nel lavandino.
«Ma è così duro» si lamentò, con uno sbuffo di frustrazione.
«Il parmigiano invecchiato è duro. E attenta alle nocche, d’accordo?»
Finii di risciacquare i peperoni verdi, i funghi e le cipolle, li asciugai e li disposi sul tagliere. Sul fornello sobbolliva la salsa che avevo preparato l’estate prima con pomodori freschi, basilico, origano e diversi spicchi di aglio schiacciati. Ne tenevo sempre una buona provvista nel freezer per occasioni come questa. Alcuni pezzi di salsiccia stavano asciugando su un foglio di carta, accanto ad altri tovaglioli su cui era posata della carne scottata.
Sulla credenza c’era un impasto di farina di grano duro che stava lievitando sotto un asciugamano umido; in una terrina c’erano dei pezzettini di mozzarella di latte intero, importata da New York, che avevo comprato ancora immersa nel liquido di governo nel mio negozio di gastronomia prefe-rito, sulla West Avenue. A temperatura ambiente la mozzarella è morbida come burro, quando fonde fila che è una meraviglia.
«La mamma compra sempre quello in scatola e ci aggiunge un sacco di porcherie» disse Lucy ansimando. «Oppure compra in drogheria quello già grattato.»
«È deplorevole» ritorsi, convinta. «Come fai a mangiare una cosa del genere?» Mi misi a tagliare la verdura. «Tua nonna ci avrebbe lasciato morire di fame, piuttosto.»
A mia sorella non era mai piaciuto cucinare. Non ho mai capito perché. Alcune delle ore più belle della nostra infanzia le abbiamo trascorse a tavola. Quando nostro padre stava bene, sedeva a capotavola e cerimoniosamente ci serviva nel piatto un monticello di spaghetti o di fettuccine fumanti, oppure, il venerdì, una frittata. Per quanto poveri potessimo essere c’erano sempre tanto cibo e tanto vino ed era sempre un piacere quando, tornando da scuola, venivo accolta dai profumi deliziosi e dai rumori promettenti che venivano dalla cucina.
Era triste, un insulto alla tradizione di famiglia, che di tutto questo Lucy non sapesse nulla. Immaginavo che quasi ogni giorno di ritorno da scuola entrava in una casa silenziosa e indifferente dove la cena era una scocciatura da evitare fino all’ultimo minuto. Mia sorella non avrebbe mai dovuto diventare madre. Mia sorella non avrebbe mai dovuto essere di origine italiana.
Unsi le mani con olio di oliva e cominciai a lavorare l’impasto, manipolandolo energicamente finché non mi fecero male i muscoli delle braccia.
«Sei in grado di farla girare come fanno alla tv?» Lucy lasciò perdere quello che stava facendo, fissandomi a occhi spalancati.
Le diedi una dimostrazione.
«Uau!»
«Non è così difficile.» Sorrisi mentre l’impasto lentamente si allargava sotto i pugni. «Il trucco è quello di tenere le dita chiuse per non fare dei buchi.»
«Fammi provare.»
«Non hai finito di grattare il formaggio» dissi con finta severità.
« Per favore… »
Scese dallo sgabellino e venne da me. Prendendole tra le mie, le bagnai le mani di olio di oliva e le strinsi a pugno. Mi sorprese che avesse mani grandi quasi come le mie. Quando era piccola aveva dei pugni grossi come noci. Mi venne in mente il modo in cui li allungava verso di me quando andavo a trovare mia sorella, come afferrava l’indice e sorrideva mentre sentivo uno strano e meraviglioso tepore colmarmi il seno. Disposi la pasta sopra i pugni di Lucy e la aiutai a farla girare goffamente.
«Diventa sempre più larga» esclamò. «Viene bene!»
«La pasta si allarga per forza centrifuga… proprio come si fabbricava il vetro una volta. Le hai mai viste quelle vecchie finestre di vetro con tutte le increspature?»

(…)

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