4 febbraio 2019

Nell’esilio della lingua – Pandelis Bukalas

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Nell’esilio della lingua – Pandelis Bukalas

Un’ora a caso. Una piazza a caso. Una Grecia a caso.
E’ comunque domenica,
quando preghi il tempo che trovi un po’ di pace.
Sulle panchine, metà seduti, metà in piedi.
Albanesi.
Ora parlano ad alta voce
e ritrovano ciò che nascose
spaurito il tempo del silenzio.
Esuli nella loro lingua.

I nativi non le danno importanza,
non la distinguono neppure,
per questo libera impetuosamente il suono.
Nella cabina qualcuno telefona. Filippini. Forse.
Doppiamente esuli, loro,
nella lingua e nella pelle,
imprigionano la loro voce
silenziosi percorrono il nostro immobile sguardo.

Vano collezionista di episodi,
cominci a scrivere silenziosamente,
senza carta né matita,
ripeti le frasi, ché non si perdano,
il ritmo si è spezzato,
la memoria esita.
Quel pesante motto senza genealogia:
“Patria del poeta è la sua lingua”
ti divora la mente, l’avvelena.
Ma quale patria.
Parole, parole, ancora parole.
Indigeno del vuoto,
conti due tre volte l’esilio della lingua
quando la scrivi.
Restare fuori, lontano da ciò che desideravi
da ciò che progettavi prima di affidarlo alle paroline.
Restare fuori, lontano
da quanti non comprendono la tua lingua
nati sotto altri soli
Fuori, lontano anche da quanti parlano la tua stessa lingua
che attraversano indifferenti la tua palialalia.

La tua patria è un esilio.
Come un amore che cerchi
solo per perderlo

Traduzione di Massimo Cazzulo
Da “Poesia” n. 298, novembre 2014. Crocetti Editore

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