29 ottobre 2019

Fuori dall’abisso – Dylan Thomas

Wassily Kandinsky - Segmento blu
Fuori dall’abisso – Dylan Thomas

Nella sua testa girava un piccolo mondo
Dove ruote, confusi dubbi, musica sconcertante,
Rotolavano tutte le immagini giù negli abissi
In cui vanità semimorte dormivano acciambellate
Come gatti, e lussurie giacevano semibollenti nel gelo.

Nella sua testa i motori facevano l’inferno,
Le vene frustavano le tempie fino a farlo impazzire,
E, pazzo, pregava Dio con le bestemmie,
Scorgeva bestie lunatiche gozzovigliare sul colle,
Uccelli folli sugli alberi e pesci folli in una vasca.
Un sorriso maniaco era diffuso nel sole.
La luna sbirciava la valle di traverso come un demente.

Allora il più tenue rumore di passi o di voci
Echeggiò cento volte, uno stormo d’uccelli
Stamburò assordante nell’aria, le spade dei lampi
Squarciarono i cieli con grande frastuono,
E una rosa tuonò mentre si stava aprendo.

La ragione crollò, l’orrore percorse le strade.
Un sorriso liberò un diavolo, una campana rintoccò.
Egli poteva udire donne respirare nel buio,
Vedere volti di donne sotto bende viventi,
Con bocche di serpente e vuoti scalenofidiaci
Al posto degli occhi, e narici piene di rospi.

A una musica in scatola, taxi-girl e finocchi danzavano
Qualche passo sul prato, dove Cupidi soffiavano acqua
Dal naso e dal culetto, uno spettacolo alla Sanger
Sfilava lungo le navate e nella cripta
Di chiese fatte con l’astratto e il concreto.
Acrobate discese dai pali per il pasto,
Sospendevano la danza ininterrotta per rinfrescarsi i piedi bollenti,
O la lotta accanita per curarsi le membra straziate;
La luna sbirciava la valle di traverso come un demente.

Dov’è, che cosa è il mio Dio in questo folle risonare
Di coltelli su forchette, gridò, di nervo su nervo,
Costola d’uomo su costola di donna, linea retta su curva,
E di mano su natica, uomo su macchina, combattendo,
Ammaccando, dov’è Dio è il mio pastore, Dio è Amore?
Non c’è pastore che ami in questa vita di sopra.
.
Così gridando, fu trascinato nella fogna,
Con i topi alle ascelle, giù per il cupo canale
In cui galleggiava un cane morto che lo fece vomitare,
Immerso in acque nere, sotto grandine e fuoco,
Fino al ginocchio nel vomito. Là io lo vidi,
E in questo modo lo vidi cercare la sua anima.

E nuotando nelle fogne alza gli occhi
Ai mondi d’ovatta rotanti sul displuvio del tetto,
Cavalcando le travi dell’aria, poi li abbassa
Sui garage e sulle cliniche della città.

Dov’è, che cosa è il mio Dio tra questo ancheggiare di ragazze,
lì questo strisciare di finocchi intorno ai pubs?
Era novembre, c’era un saltar di castagnole,
Ma ora restano i mozziconi dei petardi sparati.

Così gridando fu spinto nel Giordano;
Anche lui ha conosciuto l’agonia nell’Orto,
E sentito uno spiedo infilzarglisi al fianco.
Anche lui ha visto il mondo marcio fino in fondo,
E preso a calci con fragore i secchi dei rifiuti marcati verboten,
E udito i denti della donnola far zampillare il sangue.

E in questo modo io lo vidi. In questa posa:
Una mano sul capo, l’altra indecisa sul da fare,
Tra i lampioni e il cielo male illuminato,
E, tra le stagioni, lo udii gridare in questo modo:

Dov’è, che cosa è il mio Dio? Ero pazzo, sono pazzo,
Ho cercato segni e conchiglie sulla spiaggia,
Ficcato paglia e sette stelle tra i capelli,
Mi sono appoggiato a scalette e alla sbarra dorata,
Ho cavalcato il letame delle fogne e la nuvola.
Ho nuotato e sono sprofondato in un orrendo mare
Dove uomini di corallo si cibano nelle ascelle
Di ragazze annegate; ho sventolato bandiere
A ogni tamburo e piffero; ho detto le solite cose
Sempre e dovunque; ho giaciuto con creature disseccate;
Amato donne e cani; desiderato l’orbita del sole.
Collaudato dal fuoco, i due pollici al naso,
Ho sbeffeggiato il moto dell’universo.

Dove? Che cosa? Ci fu scompiglio in cielo,
Ma nessun dio è sorto. Ho visto il male e il peggio,
Schernito il coito delle stelle. Nessun dio
Proviene dal mio male o dal mio bene. Pazzo, pazzo,
Sentendo gli spilli del sangue, ho detto
Cose insolite. Ma non è servito a nulla.

Gridando tali parole, lasciò le folle piangenti,
Liberò il peso delle parole dalle membra sfinite,
E si mise a cibare gli uccelli con le briciole
Di antichi numi, con bocconi spezzati di nomi.
Completamente solo, solcò l’unica via.
E in questo modo io lo vidi in un rettangolo di campo
Abbattere cime di rape, gli alberi per amici;
E in questo modo, più tardi, lo udii che diceva:

Dai palazzi del giorno sono giunto ai rifugi
Degli eremiti, ho parlato a uomini antichi;
Dal frastuono sono corso alla quiete.
Il mio Dio è un pastore, Dio è l’amore che speravo.
La luna appare sulla valle come una santa.
Ragazze e finocchi, rumore e silenzio,
Si accoppiano, creano armonie, un accordo armonioso,
Poiché in solitudine egli ha trovato la sua anima.
Ora egli è uno coi molti, uno con tutti,
Con il fuoco e il Giordano ed il cupo canale.
Ora ha ascoltato e letto la beata parola.
Muto, nel suo rifugio, cova in mezzo ai suoi uccelli.
Lo vedo nella folla, non diviso
Da te o da me o dal vento o dal topo
O da questo o da quello.

da Dylan Thomas Poesie inedite, a cura di Ariodante Marianni – Giulio Einaudi Edizioni

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