29 ottobre 2019

Ode alla via di San Diego – Pablo Neruda

Barrio de SanDiego - Santiago
Ode alla via di San Diego – Pablo Neruda

Per la via
San Diego
l’aria di Santiago
viaggiava verso il sud maestoso.
Non viaggiava in treno l’aria.

Va passo a passo
guardando
prima le finestre,
poi i fiumi,
più tardi i vulcani.

Ma,
lungamente,
nell’angolo
di via Alameda
guarda un caffè piccolo
che sembra
un autobus
carico di viaggiatori.
Dopo viene
un negozio
di francobolli, timbri, insegne.
Qui si può
comprare in lettere bianche
e fondo azzurro brunito
l’insegna temibile di “Dentista”.
Mi abbaglia questo negozio.
E quelli che seguono hanno
questo impeto
di quello che volle essere
solamente transitorio
e restò formato
per sempre.
Più lontano
vendono
l’immaginario, l’inimmaginabile,
utensili spaventosi,
incogniti cinti erniari,
induriti
fiori di ortopedia,
gambe
che chiedono corpi,
gomme allacciate
come braccia
di bestie sottomarine.

Procedo guardando porte.
Attraverso
tende,
compro piccole
cose
inutilizzabili.

Sono il croniste errante
della via San Diego.

Al numero 134,
la libreria Araya.
Il vecchio libraio
è una pietra,
sembra il presidente
di una repubblica
smantellata,
di un magazzino verde,
di una nazione piovosa.
I libri
si accumulano. Terribili
pagine che spaventano
il cacciatore di leoni.
Ci sono geografie
di quattrocento tomi:
nei primi
c’è luna piena, gelsomini di arcipelaghi:
gli ultimi volumi
sono solo solitudini:
regni di neve, sussurranti renne.

Nel seguente numero
della strada
vendono poveri giocattoli,
e dalle porte vicine
la carne arrosto
inonda
le narici
della crepuscolare cittadinanza.
Nell’hotel che segue
le coppie
entrano col contagocce:
è tardi
e l’attività
si affretta:
l’amore cerca piume
clandestine.
Più in là vendono testate
di bronzo abbagliante,
letti straordinari
costruiti
forse
in cantieri navali.
Sono come
eterne imbarcazioni gialle:
devono iniziare il viaggio,
riempirsi
con nascite e agonie.
Tutta la via aspetta
l’onda dell’amore e la sua marea.
Sulla finestra
che segue c’è un violino
rotto,
ma arricciato nella sua dolcezza
di sole abbandonato.
Abita questa finestra
incompreso
per le scarpe che si accumularono
sopra di lei e le bottiglie
vuote
che adornano il suo riposo.

Vengono
per la trasmigratoria
via
San Diego
di Santiago del Cile,
in questo anno:
odore di gas, un’ombra,
odore di pioggia secca.
Al passo
degli operai che si sgranarono
dagli agonizzanti autobus
suonano
tutti i tanghi in tutte le radio
nello stesso minuto.

Cerca con me
una coppa gigante,
con bandiera,
onore e monumento
del vino e della patria cristallina.

Comizio lampo.

Gridano
quattrocento operai
e studenti:

Salari!

Il rame per il Cile!
Pane e Pace!

Che scandalo!

Si chiudono
i negozi,
si ode
uno sparo,
escono da tutte le parti
le bandiere.

La via
corre ora
verso l’alto,
verso domani:
un’onda
venuta
dal fondo
del mio paese
in questo fiume
popolare
ricevette i suoi affluenti
da tutta l’estensione del
territorio.

Di notte, la via
San Diego
continua per la città, la luce la riempie.
Poi,
il silenzio
fa scivolare su di essa la sua nave.

Alcuni passi ancora: una campana
che sveglia:
è il giorno che arriva
rumoroso, in autobus sgangherato,
riscuote la sua tariffa mattutina
per vedere il cielo azzurro
solamente un minuto, appena un minuto
prima che le botteghe,
i suoni,
ci ingoino e triturino
nel grande intestino
della via.

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